Diamanti da investimento: ancora una vittoria e con ribaltamento della decisione di primo grado. Molte luci ma anche qualche ombra.

Tempo di lettura stimato: 21 minuti

Indice:

Premessa

Prima parte: gli elementi utili di una vittoria che conferma l’orientamento favorevole ai risparmiatori

Seconda parte: riflessioni su alcuni passaggi e motivazioni di difficile interpretazione.

Conclusioni

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Premessa

Di nuovo un risultato utile per il risparmiatore, e ancora in appello, in questo caso presso la Cda di Bologna ( Decisione CDA Bologna ) e con ribaltamento della decisione resa in primo grado dal Tribunale di Modena.

Con questa vittoria per il sottoscritto Avvocato sono ben 5 i risultati utili ottenuti direttamente nel giudiziale cui si aggiungono numerosi altri nello stragiudiziale, in pendenza della lite, cioè con un accordo totalmente favorevole ai risparmiatori, per non arrivare alla decisione.

Ma in particolare sono zero i risultati negativi.

Il che mi permette di sostenere ancora e con certezza quanto ebbi a precisare durante le numerose consulenze legali dei risparmiatori che si rivolgevano al mio Studio per avere delle indicazioni su questa vendita di preziosi in Banca e cioè: avete ragione, il diritto é dalla vostra parte. Il resto è stata anche, in non pochi casi, una questione di forza di volontà e in alcuni casi di perseveranza.

Tuttavia, lavorando bene, con diligenza (e con passione), cercando di fare e ottenere il meglio i risparmiatori hanno vinto.

Per coloro che vogliono approfondire l’argomento prima di proseguire nella lettura suggerisco di seguire il mio webinar dedicato proprio al risarcimento del danno derivante dai diamanti da investimento dove c’è un riassunto della strategia processuale e dei principali passaggi che hanno garantito un numero davvero significativo di risultati utili per i Clienti e che potete visionare:

  1. dalla sezione on line del mio Studio dedicata i miei webinar e alle docenze: https://www.studiolegalesolferini.com/projects-8
  2. direttamente dal sito dell’Ascheri Academy: https://ascheri.academy/responsabilita-banca-vendita-diamanti-investimento-diritti-risparmiatori/ 

Venendo quindi a questa decisione della CDA di Bologna a firma del Presidente del Collegio il dott. Giovanni Salina la stessa si segnala per diverse luci ma anche qualche ombra che meritano di essere condivise a beneficio dei Colleghi e anche dei Giudici che sono chiamati a queste decisioni.

Prima parte: gli elementi utili di una vittoria che conferma l’orientamento favorevole ai risparmiatori

E’ doveroso sottolineare che con la decisione del 28 gennaio 2025 della Corte d’Appello di Bologna viene ulteriormente confermato l’orientamento maggioritario che sul punto in diritto nega qualsivoglia ruolo di mero segnalatore per la Banca.

Infatti, nella sentenza vergata dai Giudici fra l’altro si legge che: “nel contesto della relazione qualificata che si instaura tra il cliente e la banca, a prescindere dalla pregressa esistenza di rapporti negoziali (che se esistenti certamente fortificano l’intensità dell’affidamento ingenerato nel cliente e, di conseguenza, il contenuto del dovere di solidarietà e buona fede a carico della banca), per il perseguimento di uno scopo comune, scatta comunque il dovere della banca, quale operatore qualificato, di comportarsi secondo buona fede tutelando l’affidamento ingenerato nella controparte per il sol fatto di averne accolto le istanze e indirizzato le scelte in ambito di tutela del risparmio”.

Trova quindi ulteriore conferma il fatto che la decisione AGCM ha valore di prova privilegiata ed è idonea a rispondere alle esigenze probatorie di parte attrice secondo quanto richiesto dall’art. 1176 c.c.

Per coloro che volessero leggere e/o scaricare i contenuti della decisione AGCM possono farlo dal seguente link: https://www.agcm.it/dettaglio?db=C12560D000291394&uid=8A928AB6D89789E3C12581CA00420E88&view=&title=PS10677-IDB-INTERMARKET%20DIAMOND%20BUSINESS-DIAMANTI%20DA%20INVESTIMENTO&fs=Pratiche%20scorrette 

Ed in particolare, sul punto in diritto dopo una più che condivisibile e apprezzabile ricostruzione e inquadramento normativo, la Corte d’Appello di Bologna censura l’operato del primo giudice in modo perentorio affermando: “E’ dunque errata la valutazione del primo giudice secondo cui vi era la necessità di specifica dimostrazione da parte dell’attore delle condotte illegittime e delle conseguenze dannose, così come quella secondo cui il provvedimento dell’autorità garante non era bastevole all’uopo perché non riferibile specificatamente al rapporto intercorso fra le parti in causa”.

L’argomento fu, nella fase iniziale di questi contenziosi oggetto di incertezze da parte di alcuni ricorrenti che non precisarono nella maniera più efficace questo presupposto e ottennero risultati insoddisfacenti che originarono un dubbio in proposito. Le difese che hanno perseverato su questo presupposto, perché corretto e in linea con la scienza del diritto, sono invece state, premiate.

Inoltre, sempre nella decisione in commento si legge altresì che: “va disattesa ogni prospettazione – impropriamente qualificata di inammissibilità, improponibilità e improcedibilità – di infondatezza della domanda risarcitoria per non essere in tesi della banca “individuato o individuabile” un danno risarcibile, essendo l’attore ancora in possesso dei diamanti il cui valore è soggetto ad oscillazioni, sicché il danno sarebbe meramente potenziale e riscontrabile solo al momento della vendita delle pietre”.

Giustamente i Giudici di Bologna aggiungono poi: “ad abundantiam osserva la Corte che la banca, che non ha venduto le pietre, non ha alcun diritto di far valere una eventuale diminuzione del danno derivante dal ricavato della loro rivendita”.

Esce ulteriormente rafforzato anche il paradigma che si richiama al contatto sociale qualificato inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni e dal quale derivano per le parti obblighi di buona fede, di protezione e di informazione ex. artt. 1173, 1175 e 1375 laddove peraltro la Corte d’Appello di Bologna è molto perentoria nel mettere per iscritto come il Giudice di primo grado, in questo caso del Tribunale di Modena, abbia sbagliato e infatti si legge: “nella fattispecie, affermare, come sbrigativamente ha fatto il primo giudice in poche righe sul finire della pronuncia, che trattandosi del primo rapporto intercorso tra le parti non si è generato alcun affidamento e dunque non è applicabile la responsabilità da contatto sociale qualificato consiste senz’altro, in un errore”.

Le parole dei Giudici della Corte d’Appello di Bologna sono restitutive per il ricorrente che aveva accolto con particolare stupore e sofferenza emotiva quanto scritto dal primo giudice. E in questo c’è un effetto positivizzante. Giacché per una vittima vuol dire moltissimo sapere che aveva ragione, che il Giudice ha errato e che lui era nel giusto.

A completamento vengono altresì respinte le eccezioni della Banca relativamente a qualsivoglia concorso di colpa del creditore ex. art. 1227, il difetto di legittimazione passiva e la richiesta di inammissibilità dell’appello ex. art. 342 cpc. Per effetto c’è la condanna per l’Istituto di credito alle spese legali di entrambi i giudizi (quindi con restituzione di quanto il ricorrente ebbe a pagare in esito al primo).

Seconda parte: riflessioni su alcuni passaggi e motivazioni di difficile interpretazione.

Come già precisato in apertura del presente articolo la decisione in commento ha sollevato anche alcuni punti interrogativi.

Laddove alcuni passaggi sono di difficile interpretazione. Ancor più poi alla luce del fatto che il Presidente del Collegio, il Dott. Salina é un Giudice esperto, profondo conoscitore del diritto, particolarmente attento proprio a quello dei risparmiatori, degli investitori, con alle spalle numerosissime decisioni prese al Tribunale di Bologna e il cui apprezzato operato é patrimonio noto.

Dettagliamo quindi quelle parti della decisione la cui lettura ha sollevato delle perplessità e il motivo

1) Applicazione in sentenza dell’art. 13 DLgs 28/2010

Il Giudice dell’Appello nella sua decisione ha precisato che:

“Va nondimeno tenuto conto che in primo grado il giudice aveva formulato proposta transattivo-conciliativa ex art. 185 bis c.p.c. accettata dalla banca ma rifiutata dall’attore di € 55.000,00 di cui € 6.000,00 per spese legali e consulenza tecnica; tenendo conto anche solo della componente di danno la proposta era migliorativa rispetto a quella che è, oggi, la statuizione in sentenza”.

E conseguentemente: “Va fatta, pertanto, applicazione del primo comma dell’art. 13 del D. Lgs. 28/2010 rubricato “Spese processuali in caso di rifiuto della proposta di conciliazione” ai sensi del quale quando il provvedimento che definisce il giudizio corrisponde interamente al contenuto della proposta, il giudice esclude la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice che ha rifiutato la proposta, riferibili al periodo successivo alla formulazione della stessa, e la condanna al rimborso delle spese sostenute dalla parte soccombente relative allo stesso periodo, nonché al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di un’ulteriore somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto”.

Così letta è difficile capire il presupposto in diritto che abbia giustificato siffatta scelta.

Cerchiamo quindi di capire da dove nascono i dubbi in proposito.

Anzitutto per quanto riguarda la ricerca di un accordo con la Banca il Giudicante non pare aver tenuto in debita considerazione le seguenti circostanze come verificatisi nel caso in concreto:

1) E’ il Cliente che ebbe ad attivare, come accaduto in moltissimi altri casi, la domanda di Mediazione prima di essere costretto alla controversia. Infatti, dopo il reclamo infruttuoso e dopo tre tentativi di trattativa, il Cliente convocò la Banca in Mediazione e, come da verbale allegato agli atti (fin dal giudizio di primo grado), la Banca non si presentò ricevendo quindi inevitabilmente l’addebito di mancata Mediazione.

2) E’ sempre il Cliente che chiese la nomina del CTU e la richiesta di una proposta conciliativa attraverso il Giudice sulla base dei risultati sempre della CTU. Cui la Banca in corso di giudizio si oppose. Tutto documentato dai verbali di causa in primo grado quindi a disposizione dei Giudici dell’Appello.

Si osservi poi che l’art. 13 del D.lgs in questione non pare applicabile alla fattispecie in esame poiché riguarda altre e diverse circostanze della mediazione.

Inoltre sul punto in diritto sembra opportuno precisare che esiste un importante indirizzo in dottrina quanto in giurisprudenza relativamente al distinguo circa la mancata adesione ad una proposta, in corso di giudizio, a seconda che la stessa sia qualificabile come conciliativa o transattiva.

E il Giudice di primo grado (la cui decisione è stata ribaltata con perentorietà in sede di Appello) si è quasi certamente posto il dubbio nel caso in esame e ha finito (non a caso) per qualificare la sua proposta con entrambe le definizioni. Infatti nel verbale dell’ordinanza con la quale il Giudice di prime cure introduceva la proposta per trovare un accordo che avrebbe consentito di non scrivere la decisione il Giudice di Modena scriveva testualmente “visto l’art. 185 bis cpc propone alle parti la conciliazione/transazione nei seguenti termini”. Citando quindi entrambi i termini che però in diritto non sono la stessa cosa.

In realtà l’unico principio in diritto applicabile in caso di mancata adesione, essendo che la proposta è stata formulata ex. art. 185 bis cpc su richiesta della parte ricorrente in un procedimento a cognizione alterata, che serve proprio per facilitare il ruolo del Giudice in questo genere di incombenze, potrebbe essere quello previsto dalla norma dell’art. 96, comma 3 cpc. come pure in via eventuale, a seconda degli orientamenti (che sul punto non sono concordi) dall’art. 92 cpc o perlomeno entro i limiti di quanto previsto dalla Corte Costituzionale con sentenza 77/2018.

Però occorrerebbe tenere anche in considerazione che la casistica è molto diversa rispetto a quello che si è verificato nella circostanza del caso in esame.

Volendo indagare fra i numerosi precedenti merita di essere riportato questo che è veramente conforme a moltissimi altri: “Nel corso del giudizio quando l’attrice rifiuta ingiustificatamente una proposta conciliativa formulata dal giudice ex 185 bis. cpc e da ciò si rileva non solo il carattere pretestuoso della mancata adesione ma anche la grave negligenza nella ulteriore coltivazione del giudizio, avendo la stessa disertato l’udienza immediatamente successiva alla proposta, determinando l’impossibilità delle parti di addivenire ad una più rapida definizione della lite, per cui la condotta processuale della stessa costituisce un evidente e consapevole abuso del processo, pur costituzionalmente garantito, a danno delle altre parti e il pregiudizio va riferito a quello conseguente all’indebito coinvolgimento in un processo, evitabile con la diligenza processuale imposta dall’art 88 cpc come tale non ristorato dalla mera ripetizione delle spese processuali, quando le altre parti sono state costrette ad un ulteriore attività processuale; ne consegue che la determinazione del danno, ex art. 96, comma 3 cpc rimessa alla discrezionale liquidazione del giudice secondo il parametro dell’equità, dovrà avvenire tenendo conto del valore della causa, del tipo di condotta processuale adottata dal soccombente e dalla consistenza economica dei contendenti” (Tribunale di Roma 7706/2020 e di recente, conforme, Corte d’Appello di Bari 1495/2023, Tribunale di Trieste 275/2023). Come pure è doveroso sottolineare, per mera completezza, che anche sul punto di un rifiuto per non ritenere congrua una proposta (conciliativa) rispetto alle aspettative risarcitorie si veda Corte d’Appello di Lecce 399/2023.

Osservato quindi che l’addebito di mancata adesione può intervenire solo se il rifiuto riguarda una proposta “conciliativa” cui l’altra parte abbia aderito a ben guardare i contenuti della proposta del Giudice di primo grado in questa circostanza erano ben più “transattivi” che “conciliativi” (e forse è questo il motivo per cui nel dubbio furono verbalizzati entrambi i termini) ma in ogni caso è presupposto indefettibile affinché si possa verificare un addebito alla parte che rifiuta, il realizzarsi delle conseguenze del c.d. abuso del processo. Tanto che nell’uno quanto nell’altro caso si deve quindi trattare di una mancata adesione ingiustificata.

Infatti ciò che viene sanzionato non è il rifiuto in sé bensì l’abuso che si risolva in un comportamento scorretto della parte che si sottrae ad una seria e ragionevole proposta conciliativa accettata anche dall’avversario. Volendo per effetto proseguire il processo in modo arbitrario. La qual cosa nel caso in esame non si é verificata.

E questo per via del fatto che il rifiuto di una proposta che diverge dalle risultanze della CTU non integra un abuso del procedimento.

Quindi si può (e forse si deve) ragionevolmente concludere che la proposta del Giudice di prime cure non ha mai posseduto i crismi della conciliazione. Si legge infatti che dopo aver messo per iscritto che l’importo individuato dal CTU da doversi restituire al ricorrente era pari al 70% circa del prezzo il Giudice ebbe invece a individuare la somma da restituirgli in misura di molto inferiore.

In soldoni parliamo di 69.419,94 euro come stabiliti dalla CTU e invece di 48.593,958 euro come proposti dal Giudice. Quindi oltre 20.000 di differenza!

Pertanto il rifiuto di una siffatta “transazione” (perché di proposta transattiva si trattava in quanto implicava una forte rinuncia a carico di una delle parti) è del tutto in linea con gli interessi del Cliente ad andare in decisione. Impossibile parlare quindi di abuso del diritto.

Inoltre, per completezza la giurisprudenza costante ammette anche il rifiuto della proposta, conciliativa o transattiva, purché quest’ultimo sia fondato su novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti.

Pertanto, volendo, sussiste in questo caso pure quel presupposto, perché in quel periodo la Giurisprudenza sui diamanti da investimento era molto divisa. Si era inizialmente affermato un primo orientamento favorevole alle Banche ma fondato più che altro sul respingimento delle domande dei risparmiatori per via del fatto che gli elementi in diritto citati dalle difese come ad esempio il Testo Unico Finanziario, non erano pertinenti al caso giacché non si trattava in effetti di un vero e proprio investimento secondo quanto stabilito dalle norme specifiche. Nel contempo però si stava anche facendo largo e cominciava ad imporsi un secondo orientamento (cui peraltro l’odierno ricorrente aveva aderito fin dall’inizio) che richiamandosi anche al combinato degli artt. 1173, 1175, 1176, 1375 e 1218 c.c. facendo applicazione dell’obbligo di protezione a carico della Banca individuava in modo più specifico e corretto la responsabilità degli Istituti di credito coinvolti. A questo secondo orientamento aderivano un sempre maggior numero di Giudici del primo grado e anche i primi del secondo grado come ad es. la Corte d’Appello di Venezia, Milano e proprio quella di Bologna con ristori per i risparmiatori pari al 70%.

In definitiva sussistono validi elementi per ritenere che non solo la scelta del Cliente di non aderire alla proposta transattiva fosse coerente e scevra da conseguenze ma altresì che l’art. 13 del D.Lgs 28/2010 applicato dalla Cda di Bologna, sia inconferente.

2) Inesatta applicazione dell’art. 4 DM 55/2014.

Il giudice dell’appello ha disposto che:

“nella liquidazione delle spese secondo i criteri e parametri di cui di cui a D.M. 10.3.2014 n. 55 (attuativo dell’art. 1/3° co. L. n. 247 del 31.12.2012 di riforma della professione forense) come modificato da ultimo ex D.M. 13.8.2022 n. 147, si reputa di applicare i valori minimi delle relative tabelle del primo e del secondo grado di giudizio con esclusione del compenso per la fase decisionale del primo grado e comunque di computare congrua diminuzione in applicazione dei criteri generali ex art. 4 D.M. cit., oltre 15% per spese generali ex art. 2 D.M. cit.”

Orbene, è principio assai noto della Corte di Cassazione: “Ai fini della liquidazione in sede giudiziale del compenso spettante all’avvocato nel rapporto col proprio cliente, in caso di mancata determinazione consensuale, come ai fini della liquidazione delle spese processuali a carico della parte soccombente, ovvero in caso di liquidazione del compenso del difensore della parte ammessa al beneficio patrocinio a spese dello Stato nella vigenza dell’art. 4, comma 1, e 12 comma 1, d.m. n. 55/2014 come modificati dal d.m. 37/2018 il giudice non può in nessun caso diminuire oltre il 50 per cento i valori medi di cui alle tabelle allegate (ex multis Cassazione civile sez. II – 24/04/2024, n. 11102, Cass. 24882/2023, Cass. 10438/2023) (sottolineatura dello scrivente).

Il Giudice dell’Appello invece ha non solo applicato i minimi ma praticato una diminuzione aggiuntiva. Peraltro a entrambi i giudizi, di primo e secondo grado (!!).

Purtroppo questo è un fatto particolarmente grave perché tutti sanno come sia storicamente in essere una drammatica contrapposizione, sempre d’attualità, che riguarda la volontà in alcuni casi da parte della magistratura di decidere, sconfinando, il compenso degli avvocati.

E questa pare una circostanza molto significativa di questa invasione di campo.

Forse con la consapevolezza del fatto che questo genere di scelte sono lette come insultanti per la classe forense e davvero non sono d’alcun aiuto, si rinviene nella decisione in commento una “curiosa” spiegazione.

Infatti il Giudicante precisa che nel mettere mano a una norma che è degli avvocati e riguarda gli avvocati: “nella liquidazione delle spese inoltre va tenuto conto delle caratteristiche dell’attività prestata come sopra descritte al par. 4”.

E qui, come dicono a volte nei romanzi thriller, la trama si complica, perché questo criptico rimando ci porta a leggere quanto riportato a pag. 2 della decisione dove troviamo una serie di valutazioni critiche sul modo in cui questa difesa ha scritto l’atto. Cioè la sua stesura.

Perché il Giudice sceglie di dilungarsi su queste valutazioni di stile in un altra parte della decisione?

Probabilmente per via del fatto che consuetudine per molti appellati, anche la difesa della Banca in questo caso ha provato a sollevare, nell’atto di difesa, una richiesta di inammissibilità ex. 342 cpc. Tutti sappiamo qual’é l’attuale orientamento della Cassazione in proposito e certamente lo conoscono alla CdA di Bologna che correttamente fra l’altro lo riporta in sentenza per negare le pretese dell’Istituto di credito.

Però poi in questo caso ci si lascia comunque andare a numerosi rigo in cui si deprime l’operato “letterario” dell’avvocato inteso qui come uno scrittore. Ed ecco che la cifra letteraria viene definita come una tecnica espositiva teatrale finanche a concludere in modo lapidario che il risultato sarebbe “un atto disarticolato, senza organicità espositiva e privo di percorso logico argomentativo lineare”.

In buona sostanza e con altrettanta buona pace del mio professore di Italiano delle superiori non ho la speranza di essere mai e poi mai pubblicato da una casa editrice: prendo atto che non farò lo scrittore o il Giudice dott. Salina non sarà tra i miei più assidui lettori.. lo posso accettare.

Ma qui il punto è un altro: se un Giudice veramente pensa che uno scritto sia tacciabile di tutte queste manchevolezze e poiché la controparte te lo ha espressamente chiesto, giacché sono valutazioni che stai svolgendo in risposta a una richiesta di inammissibilità ex. art. 342 cpc allora dopo queste critiche così veementi e denigratorie mi aspetto che venga accolta la richiesta in questione e che il Giudice dichiari l’inammissibilità (mio malgrado).

Invece no. Non è successo.

Subito dopo le lunghe critiche demolitive in quella che sembra più una recensione che stronca il malcapitato attore dopo la prima a teatro, guarda caso si legge anche e però: “Nondimeno sono indicate le parti del provvedimento che si intende appellare e dall’atto di appello nel suo complesso è dato estrapolare che l’appellante si duole della statuizione del primo giudice sotto due profili specifici: la denegata responsabilità da contatto sociale qualificato come elaborata in giurisprudenza e la denegata prova del danno” e quindi, conclude il Giudicante: “La Corte reputa pertanto infondato il rilievo di inammissibilità sollevato da parte appellata ex. art. 342 cpc poiché sotto i predetti profili è possibile individuare con adeguata specificità tanto le ragioni di doglianza quanto le ragioni della sentenza ritenute erronee”.

Orbene, chiunque prenda in mano lo scritto avrebbe inevitabilmente da pensare che in realtà se fosse stata accolta la richiesta ex. 342 cpc quest’ultima sarebbe stata poi ribaltata nel ricorso in Cassazione che sicuramente non avrebbe condiviso le medesime valutazioni critiche della Corte.

Per quale ragione quindi dilungarsi tanto sulla critica di come l’atto sarebbe stato scritto male?

Forse, alla luce del richiamo che successivamente come abbiamo visto è stato fatto, per poi utilizzarle allo scopo di diminuire arbitrariamente il compenso dell’avvocato.

Ora: immaginiamoci che cosa succederebbe se tutte le volte in cui lo scritto di un avvocato non piace al Giudice che lo legge, dal punto di vista letterario, questi lo possa penalizzare nel compenso professionale (!!) applicando a piacimento una norma che è in realtà una norma per gli avvocati. Per difendere e tutelare il compenso degli avvocati.

Così non può e ho l’assoluta certezza, che non deve funzionare.

Inoltre come già osservato in apertura del presente capitolo, la firma della decisione in commento è quella di un Presidente di collegio, il Dott. Salina di Bologna che é molto esperto non solo del diritto ma, in ragione della sua carriera anche di come è chiamato a lavorare un Avvocato. A tal punto che non può non sapere che nella stesura di un atto, ci sono circostanze in cui il professionista prende decisioni che non sono veramente delle scelte. In particolare ragionevolezza e buon senso suggerirebbe che andrebbe tenuto in considerazione:

1) Il Cliente quando subisce un torto vuole raccontare quel torto al Magistrato. Un Cliente non è un frequentatore dei Tribunali. E’ un caso, a volte eccezionale, che lo mette a contatto con la figura del Giudice. Verso il quale ha un’onesta ammirazione. Non è infrequente che il Cliente desideri rendere partecipe il Giudice del suo dolore, della sua afflizione, della pena che è chiamato a scontare senza nessuna colpa. Questa si chiama “empatia”. Dire a un Cliente che si sente ingenuo per essere caduto in quella che tutti oggi definiscono come una sorta di truffa perché non si poteva fare, che era sbagliato, ecc. ecc. non é facile perché il Cliente non sa niente del diritto. E si colpevolizza. Si sente sbagliato. Ma pensa, in cuor suo, che il Giudice sia il suo principale alleato perché è colui che nello stato di diritto gli darà ragione. C’è un che di bello e di importante nel raccontare una storia. Se dietro quella storia c’è una persona.

2) L’Avv.to non può veramente sottrarsi al desiderio narrativo del Cliente. Perché nel momento in cui lo facesse e poi le cose andassero male c’è una buona probabilità che il Cliente criticherebbe l’operato del suo difensore facendo presente che: “non ha insistito abbastanza”, “non é stato persuasivo”, “non ha voluto raccontare come si sono svolte veramente le cose”. Tutti apprezziamo la sintesi ma non è di facile percezione nelle sue implicazioni, relativamente al rapporto Avvocato-Cliente. E questi sono esempi di frasi che tanti Avvocati si sono visti recapitare con ingiusta colpevolizzazione del proprio operato. E anche se verosimilmente tutti gli addetti ai lavori sanno che non é così che funziona, alla fine il Cliente è il mandante dell’Avvocato ed è colui che poi farà passaparola sull’Avvocato. Negargli il racconto della propria vicissitudine in chiave romanzata non é per niente facile. Si aspettano l’esercizio dell’arte oratoria o dei Sofisti della persuasione e il nostro diritto civile é tutto in forma scritta ormai.

Quindi pur potendo accettare che al Giudice non piaccia il modo in cui taluno scriva (de gustibus) dovrebbe quantomeno però capire il perché, a volte, lo si fa.

I dubbi quindi rimangono.

3) Errore nell’applicazione del principio del libero apprezzamento delle prove in tema di CTU.

Il Giudice dell’Appello dichiara:

“venendo dunque al quantum di danno, non è di alcuna utilità la CTU disposta in primo grado sul valore dei diamanti all’epoca dell’acquisto (febbraio e dicembre 2015) e all’epoca delle operazioni peritali”.

E successivamente decide di quantificare il ristoro per il Cliente in misura pari al 30% facendo applicazione di una metodologia di calcolo che non solo il CTU aveva escluso, ma hanno escluso anche l’Autorità AGCM (nella stessa decisione che i Giudici dell’appello peraltro richiamano a sostegno della revisione della decisione di primo grado che non ne aveva tenuto conto), Tar Lazio, Consiglio di Stato e lo stesso Fallimento IDB nel procedimento N. 41/2019.

Tutte queste eminenti fonti hanno indagato ed elaborato il reale valore di questi diamanti finendo per indicare il 70% come percentuale di ristoro e l’utilizzo dell’Indice Rapaport come quello più consono e utile ad individuare il reale valore dei preziosi all’epoca della vendita.

Se il Giudice vuole discostarsi dai risultati di una CTU è tenuto ad un obbligo motivazionale che andrebbe assolto in maniera ben più accurata e approfondita nel solco di quanto la Suprema Corte ha più volte ribadito e cioè che: “Il giudice può discostarsi dalle conclusioni formulate dal CTU specificandone le ragioni” (fra le tante, Cass. 29632/2022, conformi Cass. 19468/2019, 1294/2017, 17757/2014).

Principio più volte ripreso, anche a seconda dei casi, sempre dalla Suprema Corte in Cass. 34368/2024, 32730/2024, 36638/2021, 200/2021 e molte altre dove viene chiarito che l’obbligo motivazionale è talmente importante che dev’essere chiaro, pertinente e deve rifuggire le circostanze della c.d. pseudo motivazione, apparente motivazione o illogica motivazione.

Si noti inoltre che la CTU del caso in questione è a firma di uno dei più eminenti esperti della materia che perlomeno in Emilia Romagna, è stata nominata d’ufficio molte volte in tanti contenziosi proprio su questi preziosi e sulle cui risultanze altri Giudici hanno fondato le loro motivazioni.

Sembra sul punto opportuno precisare che il principio judex peritus peritorum” identifica quali sono le discrezionalità riconosciute al Giudice in tema di CTU tecnica (come in questo caso) e il concetto di “prudente apprezzamento” per giurisprudenza costante identifica la CTU come una prova “forte” tanto che in particolare le Corti d’Appello la valorizzano: “Il giudice se ne condivide le risultanze non è tenuto a giustificare diffusamente le ragioni della propria adesione, ove manchino contrarie argomentazioni delle parti o esse non siano specifiche, potendo, in tal caso, limitarsi a riconoscere quelle conclusioni come giustificate dalle indagini svolte dall’esperto e dalle spiegazioni contenute nella relativa relazione” (tra le tante che ripetono questo principio vedasi Corte Appello Catanzaro sez. lav. 26/2023) e per converso qualora il Giudicante non voglia aderire a quanto previsto dalla CTU: “In materia di valutazione delle prove, il giudice può disattendere le risultanze della consulenza tecnica disposta soltanto se motiva in ordine agli elementi di valutazione adottati e a quelli probatori utilizzati per giungere alla decisione, dovendo specificare i motivi per cui ha ritenuto di discostarsi dalle conclusioni del consulente tecnico” (Corte Appello di Roma 5184/2022, conforme Corte d’Appello Palermo 1518/2023).

Tale orientamento senza dubbio diffuso e prevalente nelle corti d’Appello è stato più volte seguito anche da quella di Bologna. Non è accaduto però in questo caso. Tenendo pure presente che la Banca non ha mai veramente contestato la CTU agli atti e non si è avvalsa delle possibilità istruttorie del giudizio d’appello.

4) errata applicazione del Provvedimento sanzionatorio Decisione AGCM 30 ottobre 2017.

Il Giudice dell’appello dichiara:

“facendosi applicazione di quanto accertato in sede di vigilanza – ovvero anche tenendo conto dell’IVA e delle commissioni pagate dalla banca ed agli agenti comprese nel prezzo IDB ma non incluse nel benchamark dei prezzi al dettaglio (IDEX) “la differenza tra valore di riferimento al dettaglio corretto (IDEX-DRB + commissioni + IVA) e il prezzo IDB, pur riducendosi, resta significativa attestandosi in media al 30%” (cfr provvedimento sanzionatorio AGCM par 68)”.

Ma il provvedimento sanzionatorio che il Giudice cita NON adotta questo metodo di calcolo bensì sceglie lo stesso della CTU basato invece sull’indice Rapaport.

In buona sostanza nel provvedimento sanzionatorio che il Giudice cita sono indicati più metodi per la quantificazione del reale valore di questi diamanti.

Fra cui anche quello cui il Giudice dell’Appello si richiama e che è quello più favorevole alle Banche ma l’AGCM prima, il Tar Lazio Sent. 10967/2018 del 14 Novembre 2018 poi e infine il Consiglio di Stato Sentenza 11 Marzo 2021 R.P.C. 02081/2021 affermano che non si può applicare questo metodo perché non ci sono evidenze delle voci che lo qualificano.

Sul punto il Consiglio di Stato con decisione dell’11 marzo 2021 n.23/2019 è perentorio non solo nel confermare le responsabilità della Banca promuovendo a pieno titolo sia le indagini dell’Autorità AGCM, come pure il giudizio del Tar Lazio ma altresì a proposito del valore di questi diamanti: “quanto al rilievo che nel mercato mondiale dei diamanti non vi sono quotazioni (fixing) ufficiali, le indagini istruttorie dell’Autorità hanno comunque accertato che il valore di mercato dei diamanti venduti da IDB, oltre ad essere indecifrabile nelle sue componenti, risultava inferiore al prezzo proposto per l’acquisto” (sottolineatura dello scrivente).

Tale indecifrabilità, in linea con quanto già rilevato appunto dal Tar Lazio è dovuta al fatto che nelle vendite non c’erano voci inerenti a commissioni, oneri, e nemmeno l’IVA (che del resto non figura in nessun documento rilasciato al Cliente per l’acquisto o nei rendiconti periodici sul presunto aumento di valore dei diamanti).

Quindi il Giudice dell’Appello non ha mai potuto quantificare nessuna di queste voci e non le ha mai potute trovare, perché non ci sono.

Relativamente alla Decisione AGCM cui il Giudice dell’Appello dichiara di volersi uniformare è bene precisare che l’indice adottato dai Giudici cioè l’IDEX-DRB viene “introdotto” al par. 30 della decisione AGCM dove leggiamo: “Altro qualificato punto di riferimento è IDEX (International Diamond Exchange), una piattaforma online per il commercio all’ingrosso di diamanti da parte di professionisti del settore, localizzati nei principali centri di scambio dei diamanti13. I valori riportati da IDEX sono basati sui prezzi pagati nelle transazioni realizzate attraverso la piattaforma stessa. IDEX mette a disposizione degli operatori un Indice dei prezzi e le quotazioni in tempo reale di varie tipologie di diamanti”.

Ma questo indice vale per coloro che utilizzano questa piattaforma (!!) e non a caso nella nota n. 13 della decisione si legge: “è la piattaforma leader di trading-online per i rivenditori di diamanti” Quindi NON vale per la società IDB che non li vendeva con questa piattaforma.

Orbene il Giudice dell’Appello cita solo il par. 68 della decisione AGCM ma in realtà, leggendo con attenzione la decisione troviamo: “Tale fatto emerge chiaramente da uno studio interno di IDB del 2016, nel quale è “affrontato il tema della comparazione dei prezzi IDB con IDEX (prezzi retail) e RAPAPORT (prezzi all’ingrosso), per gli ultimi 5 anni” (par. 69) e poi: “Tale studio riporta innanzitutto l’andamento dei prezzi medi trimestrali IDB e quelli dei valori di riferimento all’ingrosso Rapaport e del benchmark dei prezzi al dettaglio IDEX-DRB per le tipologie di diamanti trattate da IDB, nel periodo marzo 2012 –dicembre 2016. Da tale raffronto risulta che i prezzi IDB sono in media più elevati del 137% dei valori di riferimento Rapaport e del 92% dei valori IDEX-DRB”.

E al par. 70: “I valori di riferimento all’ingrosso e al dettaglio non tengono tuttavia conto né dell’IVA né delle commissioni pagate ad agenti e banche, e quindi il raffronto diretto di tali valori di riferimento con i prezzi IDB non sarebbe, secondo lo studio, corretto. I calcoli e i grafici contenuti in tale studio mostrano come, aggiungendo ai valori IDEX-DRB e Rapaport (valori di riferimento all’ingrosso) l’IVA, la differenza con i prezzi IDB si riduca rispettivamente al 57% e al 95%.”

E quindi si legge nel par. 90: “Secondo Consob, i prezzi praticati da IDB “non presentano invece alcuna correlazione significativa con quelli del mercato retail cui si riferisce il DRB benchmark dell’IDEX. Questa asincronia è spiegata dal fatto che […] i prezzi applicati […] seguono un proprio trend di crescita costante che prosegue ormai da decenni senza soluzione di continuità e in modo sostanzialmente indifferente da quello che accade nel mercato dei diamanti al dettaglio a livello globale”.

Mentre al par. 191: “Come rilevato dalle stessa IDB e anche da Consob (§67-75), tali quotazioni (rectius, prezzi) in realtà sono molto più elevati dei prezzi delle pietre risultanti dai valori di riferimento all’ingrosso e al dettaglio maggiormente accreditati a livello internazionale, ovvero i valori all’ingrosso pubblicati da Rapaport e IDEX e il benchmark dei prezzi al dettaglio costituito da IDEX-DRB (che, come visto, già include un significativo margine commerciale), anche tenendo conto di voci –quali IVA e commissioni a banche e agenti –che questi non contemplano. Inoltre, l’andamento dei prezzi IDB rispecchia solo parzialmente l’andamento di tali valori di riferimento”.

E ancora, al par. 192: “In particolare, anche aggiungendo come sostenuto da IDB al riferimento IDEX-DRB (che già comprende un significativo margine medio al dettaglio riferito a negozi di alta gamma) il valore dell’IVA e delle commissioni pagate alle banche, la differenza tra il prezzo di riferimento così ottenuto e quello effettivamente praticato da IDB risulta in media del 30% e addirittura crescente tra il 2012 e il 2016. L’esistenza di tale differenza emerge anche dagli studi dei consulenti IDB142”.

Si tenga poi ben presente che la decisione AGCM si fonda sul fascicolo ispettivo che spesso viene richiamato nelle note e infatti alla nota n. 142 troviamo: “confronto tra grafici 5 e 6 dai quali emerge una differenza tra prezzo IDB e il riferimento IDEX/DRB al netto di IVA e commissioni di oltre il 90%, che si riduce a 30% – 40% aggiungendovi IVA e commissioni”.

Il che significa che anche nella denegata e non condivisibile ipotesi in cui si applichi come valore di ristoro l’indice IDEX/DRB nel caso dei diamanti della società IDB spa il valore è più basso e come tale la percentuale da restituire al Cliente sarebbe più alta del 30%.

Conclusioni

Come osservato in apertura la decisione rappresenta un importante vittoria per il risparmiatore e per questa difesa. Il giusto ribaltamento della decisione di primo grado é un atto restitutivo e satisfattivo. Di giustizia.

C’è concordia e soddisfazione per quanto ottenuto.

Però si è anche obbligati a sottolineare come alcuni passaggi fossero migliorabili.

Dal punto di vista in diritto le riflessioni sopra svolte non sono di poco momento. Sono impegnative. Come è impegnativo dover spiegare questo genere di incomprensioni al Cliente.

Il rischio che corriamo è quello di trasmettere un’idea sbagliata dei Magistrati che tutti noi dobbiamo proteggere e aiutare perché rappresentano un patrimonio della Repubblica. Del nostro sistema di risoluzione delle controversie. Sono ciò che separa la legge dall’anarchia. E per il cittadino onesto sono un esercito a presidio del fatto che la legge è uguale per tutti.

E’ importante. Significa che se ti comporti bene, se rispetti le regole, se sei una brava persona ci sarà chi ti protegge.

L’alternativa è insinuare che si può subire un torto, senza poi avere ragione. Pericolosissimo.

In questo caso il giudice di primo grado ha inflitto a un uomo buono e rispettoso della legge una durissima punizione. Lo ha precipitato in un vero e proprio girone dell’Inferno dantesco. Provocandogli afflizione. Travolgendo ulteriormente un animo provato da una vicenda traumatizzante che ha impattato su tutta la sua Famiglia. Il Giudice dell’appello pur avendo fatto giustizia restitutiva lo ha comunque anche se in minima parte penalizzato. Gli ha fatto capire che anche lui aveva in qualche modo sbagliato, lo ha in parte privato delle armi che gli davano ragione (una CTU) e ha preso di mira il suo difensore.

Mettiamoci nei panni dell’uomo comune. Che messaggio può passare? Forse: “Il Giudice di primo grado mi condanna. Il Giudice di secondo grado dice che ho ragione ma mi dice pure che avrei dovuto accettare un accordo rimettendoci un sacco di soldi. Che la mia CTU nominata da un Giudice non serve. Che il mio Avvocato ha scritto in modo troppo teatrale e romanzato la storia del mio torto. E malgrado tutti mi dicano che ho diritto ad avere un certo risarcimento me ne danno un altro”.

Soffermiamoci un attimo a riflettere sul fatto che é una bella serie di cose da digerire. Una o due di queste ci possono pure stare ma tutte insieme? Siamo certi che questo sia il modo migliore per seminare concordia e tutelare le persone o é possibile che quest’ultime invece di avere fiducia nella legge e nella sua applicazione, comincino a pensare di averne paura perché non la comprendono?

Queste mie conclusioni spero siano lette come delle riflessioni su come possiamo migliorarci.

Noi tutti dobbiamo fare quanto più bene possibile. Per le persone. Adoperarci affinché la collettività sia una comunione di intenti basata su un diritto per le genti e tra le genti. Un diritto sentito. Percepito. Una costante. Così facendo, questo è lo strumento più efficace per prevenire le liti. La certezza della giustizia.

Avv. Marco Solferini ( https://www.studiolegalesolferini.com/ )

Pubblicato da:

Marco Solferini

L'avvocato Marco Solferini si occupa di diritto civile, commerciale, societario, bancario, del risparmio e degli investimenti. Ha maturato anche una significativa esperienza nella tutela dei consumatori, contrattualistica societaria e nel diritto di Famiglia. Per contattare l'Avvocato: 1) Contatto diretto: info@studiolegalesolferini.com 2) Sito: www.studiolegalesolferini.com 3) La storia professionale e il curriculum sono disponibili dal profilo Linkedin: https://it.linkedin.com/in/marco-solferini-6776823/it

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