
16 Mar Nel processo minorile non si applica l’art. 131 bis c.p.
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La Corte di Cassazione sezione II, Presidente Rago, Relatore Tutinelli, con la sentenza n. 49494, depositata il 5 dicembre 2019, ha affermato: “che nel processo a carico di imputati minori, non trova applicazione la previsione dell’art. 131 bis c.p., in quanto la materia è già regolata dall’art. 27 del Dpr 22 settembre 1988 n. 488, norma avente carattere di legge penale speciale“.
La Suprema Corte nella sentenza in epigrafe ha ripercorso la genesi dell’art. 27 d.p.R. 448/1988 che ha introdotto nell’ordinamento di giustizia minorile l’istituto dell’irrilevanza del fatto. In forza di questa norma il giudice può, o meglio deve, emettere la sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto laddove ricorrano congiuntamente i tre presupposti indicarti dall’art. 27, comma l ed in particolare, l) il fatto di reato deve poter essere definito, alla luce dei parametri indicati dall’art. 133 c.p., come tenue; 2) il comportamento del minore deve poter essere giudicato, alla luce delle relazioni rese dai servizi sociali e delle dichiarazioni del minore e delle altre parti, occasionale. In sostanza, deve risultare che il comportamento deviante sia determinato da fattori ambientali, sociali e personali non prevedibilmente ripetibili. 3) deve potersi ritenere che la prosecuzione dell’iter processuale possa arrecare un pregiudizio alle esigenze educative del minore e quindi il processo debba essere considerato come una risorsa non utile per il minore a fronte di un percorso di crescita e di responsabilizzazione da questi compiuto. Risulta quindi la presenza di presupposti applicativi la cui presenza impone una specifica valutazione che risulta essere rimasta inespressa negli sporadici precedenti di questa Corte che non permettono di estrapolare principi di diritto espressi in considerazione della soluzione generalmente implicita offerta alla questione soprattutto nei casi in cui – contrariamente a quanto in questa sede ritenuto – appare essere stata affermata la possibilità di una applicazione congiunta delle due norme (cfr. Sez. 2., sent. 26 gennaio 2017, n. 7499; Sez. 5, 13 gennaio 2017, n. 15579; Sez. 6, sent. 25 settembre 2018, n. 51953, Sez. 3, 11 luglio 2018, n. 43567, tutte non massimate). Il carattere implicito delle precedenti pronunce – del resto – non permette di individuare un effettivo orientamento contrastante in considerazione del fatto che tali pronunce hanno nella massima parte dei casi ritenuto la materiale irrilevanza della questione nel caso di specie. Di conseguenza non sussistono i presupposti per la rimessione della questione alle sezioni unite.
Risulta quindi palese come il contesto delle valutazioni che risultano necessarie per l’applicazione dell’articolo 27 comma primo del cod. proc. pen. minorile siano connesse alla specifica valutazione della personalità dell’imputato minorenne in quanto soggetto il cui sviluppo risulta tuttora in divenire e rispetto a cui la finalità di garantire un equilibrato sviluppo legittima il legislatore ad ampliare il novero e l’ambito di applicazione della cause di non punibilità.
Proprio in considerazione di tale fatto, il legislatore ha previsto in ambito minorile un rimedio generale in quanto applicabile alla totalità dei reati commessi da un minorenne a prescindere da limiti edittali espressi. Con ciò si evidenzia una differenza di fondamento non irrilevante in quanto -come già rilevato anche da parte della Dottrina – si palesa la volontà del legislatore di addivenire a una valutazione specifica della personalità di chi ha commesso il reato al fine di approntare una tutela specifica dello stesso nell’ottica di un recupero condizionato dalle specifiche caratteristiche del soggetto e non la mera esigenza di definire quando più possibile precocemente i procedimenti relativi a condotte la cui minima lesività non giustificherebbe alcun dispendio di risorse processuali . In quest’ottica si spiega anche il fatto che l’art. 27 – proprio in conseguenza delle peculiarità strutturali del procedimento imponga in contatto diretto tra giudice minorile e imputato minore anche per permettere lo svolgimento degli eventuali accertamenti ex art. 9 DPR 448/88.
Peraltro, gli stessi caratteri strutturali dell’istituto regolato dall’art. 131 bis cod pen evidenziano che tale ultima norma risulta partire da ulteriori presupposti di fatto incompatibili con il rito minorile. In particolar modo, tale incompatibilità risulta evidente in relazione ala rilevanza del fatto che l’autore possa essere stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza; situazione questa che rende esplicita l’applicabilità della norma a soggetti la cui personalità abbia già raggiunto un sufficiente grado di maturità. Riprendendo quanto già segnalato dalla dottrina più attenta, non può non rilevarsi come- da una parte – la stessa previsione dell’iscrizione nel certificato del casellario giudiziale di tutti i provvedimenti giudiziari definitivi con cui si è dichiarata la non punibilità ai sensi dell’art. 131-bis cod pen non appare compatibili con gli stessi generali principi ispiratori dell’intero d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 e – dall’altra – l’efficacia di giudicato nel giudizio civile o amministrativo di danno, riconosciuta dall’art. 651-bis c.p.p. alla sentenza penale irrevocabile di proscioglimento pronunciata ex art 131-bis c.p. in seguito a dibattimento si ponga in contrasto con quanto espressamente stabilito dall’art. 10, comma 2°, d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, secondo il quale la sentenza penale non ha efficacia di giudicato nel giudizio civile per le restituzioni e il risarcimento del danno cagionato dal reato.
Tali premesse permettono di riproporre alcune considerazioni che le Sezioni Unite (cfr. Sez. U, Sentenza n. 53683 del 22/06/2017 Rv. 271587 – 01) hanno già espresso in relazione al fatto che la sostanziale diversità di regolamentazione di istituti previsti in relazione ad ambiti applicativi diversi e connessi a presupposti diversi, sia pure entrambi volti a disciplinare il fenomeno giuridico della irrilevanza penale del fatto in ragione della sua – particolare tenuità, non chiama in campo automaticamente – come criterio di risoluzione del concorso apparente fra due discipline riguardanti lo stesso oggetto, nè il principio della necessaria operatività, anche nel procedimento dinanzi al giudice specializzato, del precetto introdotto dal legislatore del 2015 con riferimento al processo comune posto che la individuazione di un nucleo comune presente in entrambe le discipline in questione, con aggiunta di uno o più elementi specializzanti in assenza dei quali la norma speciale torni ad essere integralmente sostituibile dalla norma generale, non risulterebbe essere l’operazione ermeneutica in grado di dare una risposta soddisfacente ed una chiave di lettura utile al rapporto. Infatti, anche nella vicenda che qui occupa deve ritenersi che l’art. 16 cod . pen. mostra che si debba applicare il principio generale di espansività delle disposizioni codicistiche alle materie regolate da altre leggi penali – quelle speciali, come recita la rubrica della norma – con l’espresso limite derivante dal fatto che queste ultime, sulle stesse materie, abbiano già stabilito altrimenti: un limite che ha la natura di una clausola di salvaguardia della disciplina speciale, complessivamente richiamata. Dunque, il rapporto da istituire, per verificare l’operatività in concreto di tale limite, è quello che riguarda non già singoli precetti che compongono l’intero disegno del procedimento o della legge speciale, bensì quegli stessi istituti nel ruolo e nella funzione che svolgono all’ interno del sistema di riferimento (si veda ancora Sez. U, Sentenza n. 53683 del 22/06/2017 Rv. 271587- 01, in motivazione).
Riproponendo dunque i canoni interpretativi già utilizzati dalle Sezioni Unite, posto che alla normativa in materia di processo penale minorile si addice il carattere di “legge penale speciale” ai sensi e per gli effetti dell’art. 16 cod. pen., a fronte dell’introduzione del modello normativa di cui all’art. 131-bis cod. pen. -, avente ad oggetto la stessa materia già regolata in modo completo dall’art. 27 DPR 448/1988, deve ritenersi che la legge penale speciale nel suo complesso ed in particolare l’art. 28 DPR 448/88 contenesse già un’autonoma disciplina della materia, mirata rispetto alle finalità del procedimento e tale perciò da precludere, a priori, l’operazione del confronto fra singole leggi o disposizioni sulla stessa materia, espressamente disciplinata dall’art. 15 cod. pen., con riferimento al rapporto fra più leggi penali e la possibilità di una applicazione residuale o congiunta dell’art. 131 cod pen nel processo a carico di imputati minori.