Le concessioni balneari alla luce del D.L. 16 settembre 2024 n.131. L’ulteriore rinvio delle procedure di gara al 2027

Tempo di lettura stimato: 11 minuti

Il presente lavoro trae origine dal recente decreto legge del 16 settembre 2024 n.131, con cui il governo, in accordo con la commissione europea, ha prorogato fino a settembre 2027 le concessioni demaniali marittime attualmente in essere.

 

Sommario: 1. Introduzione; – 2. Evoluzione normativa e giurisprudenziale; – 3. Recenti sviluppi; – 4. Bibliografia

 

Abstract

Il presente elaborato intende analizzare brevemente l’ultimo decreto legge approvato dall’Esecutivo in carica intitolato “Disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi derivanti da atti dell’Unione europea e da procedure di infrazione e pre-infrazione pendenti nei confronti dello Stato italiano”, ripercorrendo a volo d’uccello i passaggi salienti che hanno portato all’attuale situazione di “stallo” delle attuali concessioni. All’interno di tale D.L., tra gli altri, sono inserite disposizioni in tema di concessioni balneari marittime. Rispetto a tale materia il governo, in accordo con la Commissione europea, ha stabilito una nuova proroga delle attuali concessioni attualmente in vigore fino al settembre del 2027, con possibilità di ulteriore proroga al marzo 2028 per “ragioni oggettive”.

This paper intends to briefly analyze the latest legislative decree approved by the Executive in office entitled “Urgent provisions for the implementation of obligations deriving from acts of the European Union and from infringement and pre-infringement procedures pending against the Italian State” , retracing from a bird’s eye view the salient steps that led to the current “stalled” situation of the current concessions. Within this Legislative Decree, among others, provisions are included regarding maritime beach concessions. With respect to this matter, the government, in agreement with the European Commission, has established a new extension of the current concessions currently in force until September 2027, with the possibility of a further extension to March 2028 for “objective reasons”.

 

  1. Introduzione

Il recente decreto legge 16 settembre 2024 n. 131 ha prorogato le concessioni balneari al 30 settembre 2027, aggiunge un ennesimo capitolo, a una vicenda che da anni impegna il dibattito pubblico del nostro Paese. Si tratta delle concessioni balneari.

Rispetto a essa si rinvengono due distinti orientamenti: da un lato, chi chiede la messa a gara delle concessioni ormai scadute (di codesto avviso sono soprattutto la Commissione europea, che da vari anni sollecita il legislatore nazionale a uniformarsi alle proprie richieste, e dalla giurisprudenza europea e nazionale); dal lato opposto vi sono coloro che pretendono ulteriori proroghe, come accaduto diverse volte negli ultimi anni. Si tratta, in particolare, delle associazioni dei gestori balneari. Ed è proprio tale ultimo schieramento, invero molto ben organizzato, che ha avuto finora la meglio, incontrando i favori del legislatore, di qualunque schieramento politico esso fosse nelle ultime legislature.

L’intera vicenda ha conosciuto varie vicissitudini, ma il punto di partenza di questo percorso si origina a partire dalla direttiva Bolkestein (2006/123/Ce) (“direttiva servizi”), la quale stabilì, quasi venti anni fa, l’indizione di procedure di gara laddove sia possibile rilasciare solo un numero limitato di autorizzazioni a causa della c.d. “scarsità delle risorse naturali”, tra cui vi rientrano senz’altro (per la verità dopo un dibattito piuttosto lungo ma ormai concluso) proprio le concessioni balneari, le quali sono intese come concessioni di beni pubblici appartenenti allo Stato e non di servizi.

Un altro punto controverso nel dibattito concerneva se i beni del demanio marittimo atti a essere adibiti a balneazione nel nostro Paese potessero effettivamente ritenersi scarsi. Tuttavia, anche tale discussione deve ritenersi ormai conclusa, dando una risposta certamente affermativa.

Ai fini di una comprensione ottimale della questione è opportuno avere una visione organica di essa, ripercorrendo brevemente alcune tappe della vicenda.

 

  1. Evoluzione normativa e giurisprudenziale

Precedentemente alla direttiva Bolkestein, la principale fonte in materia di concessioni balneari si ritrovava nel Codice della navigazione, segnatamente all’art. 36 il quale garantiva la possibilità di concedere l’occupazione o l’uso, “anche esclusivo, di beni demaniali e di zone di mare territoriale per un determinato periodo di tempo”. Allo stesso tempo, il successivo art. 37 c.1, imponeva l’esperimento di procedure comparative qualora vi fossero state molteplici richieste da parte di vari soggetti interessati a ottenere il suddetto uso esclusivo. Tuttavia, il comma 2 attribuiva una “preferenza” da parte dell’ente concedente verso quel soggetto che già era titolare della concessione, cioè il c.d. diritto di insistenza.

Una prima proroga fu approvata già a partire dal D.L. 5 ottobre 1993 n. 400, ma fu poi la L. 27 dicembre 2006 n. 296 a stabilire il termine di vent’anni come il massimo di durata per le concessioni.

A livello comunitario, nell’ottica di una eliminazione degli ostacoli alla libertà di stabilimento negli Stati membri e di garantire la libertà circolazione dei servizi, venne approvata la dir. 2006/123/CE (divenuta nota come direttiva Bolkestein). Essa mette per iscritto la volontà di applicare la disciplina della concorrenza, vista come la migliore soluzione per favorire i consumatori, liberalizzando in tal modo i servizi, attraverso lo svolgimento di procedure di gara, a tutti i servizi interessati.

Infatti, ai sensi dell’art. 12 della direttiva, laddove il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili, gli Stati membri hanno l’obbligo di applicare una procedura di selezione tra i potenziali interessati, secondo i principi di imparzialità e trasparenza, garantendo un’adeguata pubblicità dell’avvio, dello svolgimento e del completamento della procedura. Tale autorizzazione deve essere rilasciata non può dunque prevedere un rinnovo automatico, né favorire in alcun modo il prestatore uscente. Tra i servizi interessati dalla direttiva rientrano anche i servizi nel settore del turismo, e dunque anche le imprese turistico-balneari sono investite dall’efficacia della direttiva. Dunque, le concessioni demaniali marittime escludono sia procedure di rinnovo automatico, sia vantaggi al prestatore uscente, esigendo che le stesse siano oggetto di gara ad evidenza pubblica da svolgersi al termine di ogni concessione.

Il contrasto della normativa italiana con quella europea ha determinato l’apertura di una prima procedura di infrazione n. 4908/2008, chiusa successivamente nel 2012 grazie agli impegni assunti dal nostro Paese, grazie all’art. 1, c.18, del D.L. 30 dicembre 2009, n. 194 è stato abrogato il diritto di insistenza riconosciuto dal Codice della navigazione, stabilendo il riordino dell’intera materia e l’attuazione della direttiva Bolkestein. Lo stesso D.L. ha inoltre prorogato le concessioni in esame fino al 31 dicembre 2012 (termine ulteriormente prorogato al 31 dicembre 2015 dalla legge di conversione 26 febbraio 2010, n. 25).

Nonostante però il formale recepimento della direttiva Bolkestein con il D.lgs. 26 marzo 2010 n. 59, quest’ultimo è rimasto poi inattuato e il legislatore non ha dato seguito agli impegni presi e il D.L. 18 ottobre 2012, n. 179 (art. 34-duodecies, c.1) con un’ulteriore proroga al 31 dicembre 2020.

In risposta a questo, la Corte di giustizia UE con una sentenza del 14 luglio 2016, C-458/14 e C-67/15 (c.d. Promoimpresa), ha chiarito il contrasto della normativa italiana con il diritto europeo.

La Corte riconosce anzitutto che le concessioni in questione sono soggette alla direttiva Bolkestein in quanto “atti formali” necessari per un operatore per svolgere la propria attività. La Corte ha inoltre chiarito che la scarsità delle risorse deve essere accertata dal giudice nazionale tenendo in considerazione che le concessioni sono rilasciabili sul singolo territorio comunale e non a livello nazionale poiché le concessioni in esame sono rilasciate a livello comunale.

Quanto poi alla questione del legittimo affidamento degli attuali gestori, questo può essere valutato solo nell’ambito di procedure di gara e necessita di un esame in concreto non compatibile con una proroga generalizzata ex lege.

Dopo la sentenza europea il legislatore nazionale ha inizialmente riconosciuto la validità delle concessioni in essere (con l’art. 24, c. 3-septies, del D.L. 24 giugno 2016, n. 113) nelle «more della revisione e del riordino della materia in conformità ai principi di derivazione europea»; successivamente, a ridosso della scadenza del 31 dicembre 2020, ha disposto una nuova proroga, arrivando alla data del 31 dicembre 2033 (art. 1, commi 682 e 683, della legge 30 dicembre 2018, n. 145.)

Successivamente l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato del 9 novembre 2021 (nn. 17 e 18), con le due sentenze nn. 17 e 18 del 2021, si è espressa sulla questione. Essa ha anzitutto riconosciuto l’interesse transfrontaliero delle concessioni in ragione della loro capacità «di attrarre gli operatori economici di altri Stati membri», in quanto le stesse sono capaci di generare un giro di affari intorno ai quindici miliardi di euro.

Inoltre, si è affermato che il concetto di “scarsità” deve essere inteso «in termini relativi e non assoluti, tenendo conto non solo della quantità del bene disponibile, ma anche dei suoi aspetti qualitativi». Detta altrimenti, non è sufficiente avere una grande disponibilità di costa non data in concessione ma occorre capire, tra le altre cose, quanta di questa costa sia effettivamente utilizzabile per le attività balneari.

Sempre il Consiglio di Stato, nella medesima pronuncia ha sottolineato come molte regioni abbiano fissato un limite massimo di costa che può essere dato in concessione e nella maggior parte delle regioni questo limite è già stato raggiunto. Per tale motivo, anche il Consiglio di Stato era giunto alla medesima conclusione della Commissione europea, indicando la «notevole scarsità» di spiagge in Italia, rendendosi necessaria l’applicazione della direttiva “Bolkestein”.

In ultimo, ancorché non strettamente attinente al tema relativo alla concorrenza, vale la pena soffermarsi sull’aspetto economicistico delle concessioni demaniali marittime. Infatti, con le medesime pronunce dell’Adunanza plenaria, viene accertata l’esiguità dei canoni concessori in quanto, sebbene il volume di affari generato annualmente dalle imprese del settore sia superiore ai due miliardi, l’importo complessivo dei canoni ammonta ad appena 115 milioni di euro nel 2019. In sostanza, anche secondo l’Adunanza plenaria la normativa nazionale è in aperto contrasto con quella europea e per tale ragione deve essere disapplicata sia dal giudice sia dagli organi amministrativi.

Va però detto che il Consiglio di Stato ai fini di “modulare gli effetti temporali della propria decisione”, ha scelto di far decorre i termini per l’efficacia di questa a partire dal 31 dicembre 2023, assegnando così due anni di tempo al legislatore che avrebbe dovuto riordinare la normativa in esame e bandire le nuove gare.

Ma la vicenda non si è comunque conclusa in quanto il legislatore italiano, con l’art. 3 della legge 5 agosto 2022, n. 118, ha inizialmente fissato il termine di scadenza delle concessioni al 31 dicembre 2023 prevedendone la messa a gara; tuttavia, successivamente, a seguito dell’insediamento del nuovo esecutivo, con il D.L 29 dicembre 2022, n. 198, ha modificato il citato art. 3 disponendo una ulteriore proroga temporale al 31 dicembre 2024.

Anche stavolta, come era ampiamente immaginabile, l’illegittimità della nuova proroga è stata riconosciuta nuovamente dal Consiglio di Stato (sentenze del 2023, n. 2192 e n. 7992) le quali hanno riaffermato i principi dell’Adunanza plenaria. Ha fatto seguito la pronuncia della Corte di giustizia UE (sentenza del 20 aprile 2023 (C-348/22)) che ha confermato le sue precedenti statuizioni del 2016 (Promoimpresa).

 

  1. Recenti sviluppi

Le ultime pronunce giurisprudenziali (precedentemente citate) hanno spinto il Governo, quasi nel tentativo di trovare una” ultima spiaggia” per tentare di prorogare ulteriormente la messa a gara delle concessioni, a convocare nel giugno del 2023 un tavolo tecnico il quale aveva presentato, nell’ottobre dello stesso anno, i risultati della mappatura delle coste italiane. Tale analisi evidenzia come il demanio marittimo in Italia (escludendo fiumi e laghi) avrebbe un’estensione pari a 381 milioni di metri quadrati, senza considerare le aree militari e di quelle secretate.

Tuttavia, la prima obiezione (e invero anche la più facile da fare) che si muove a questa analisi è che il tavolo tecnico aveva considerato i metri quadrati, e non i dati della lunghezza delle coste. Infatti, nella mappatura era stato sommato lo spazio occupato dalle concessioni marittime, con quello occupato dagli aeroporti, dai parchi naturali, dai porti e dalle aree industriali, giungendo così a un valore di 127 milioni di metri quadrati occupati, che rapportati ai 381 milioni di metri quadrati visti sopra, danno una percentuale di spazio occupato pari al 33%, mentre quasi il 70% di spazio sarebbe stato libero e il governo avrebbe potuto darlo in concessione.

Proprio su quest’ultimo studio era intervenuta la Commissione europea che, nel novembre 2023, aveva inviato una lettera al governo dandogli due mesi di tempo per rispettare le norme europee. Secondo la Commissione, i risultati a cui è giunto il tavolo tecnico non dimostrano «che su tutto il territorio italiano non vi è scarsità di risorse naturali oggetto di “concessioni balneari”», fornendo due argomentazioni.

In primis, la mappatura del tavolo tecnico forniva solo una valutazione a livello nazionale, non considerando le situazioni specifiche delle regioni o dei comuni. Inoltre, nel calcolo delle aree disponibili il tavolo tecnico comprendeva non solo aree come quelle industriali o portuali (le quali evidentemente non si prestano a essere date in concessione per attività balneari), ma anche zone di costa rocciosa, non agevolmente accessibili e perciò non ritenute atte dalla Commissione a essere date in concessione.

In ultimo però, la vicenda ha conosciuto recenti sviluppi in quanto, nel mese di agosto 2024, Il governo italiano, in accordo con la Commissione europea, ha ottenuto una nuova proroga fino al 30 settembre 2027, ulteriormente prorogabile al 31 marzo 2028 in presenza di “ragioni oggettive”.

In tale contesto, è stato emanato il D.L. 16 settembre 2024, n. 131 il quale si pone l’obiettivo di agevolare la chiusura di sedici procedure di infrazione, tra le quali vi rientra anche quella sulle concessioni balneari, a cui è dedicato l’art. 1 del D.L., modificando gli artt. 3 e 4 della citata legge n. 118/2022.

Nonostante la proroga generale, il decreto fa salve quelle procedure e concessioni deliberate prima dell’entrata in vigore del decreto stesso.

Le amministrazioni sono comunque autorizzate, previa adeguata motivazione, a bandire le gare anche prima del termine summenzionato.

La ratio di un simile meccanismo (cioè la proroga per legge, ma comunque consentendo alle amministrazioni che intendano avviare le procedure di poterlo fare) risponde allo scopo di evitare che anche il nuovo decreto venga dichiarato contrario al principio europeo del divieto di proroga automatica con conseguente dovere di disapplicare la norma da parte dei giudici nazionali.

Il novellato art. 4 della legge n. 118/2022 prevede che le procedure di gara debbano essere svolte nel rispetto dei principi di libertà di stabilimento, pubblicità, trasparenza, massima partecipazione, non discriminazione e parità di trattamento e che le stesse possano essere avviate “anche su istanza di parte”.

Ancora, viene detto che le procedure devono essere bandite almeno sei mesi prima della scadenza del titolo concessorio, ma, in “sede di prima applicazione” del decreto, per le concessioni in scadenza al 30 settembre 2027, le gare sono indette «entro e non oltre il 30 giugno 2027».

Il comma 4 dell’art. 4 indica poi il contenuto dei bandi di gara i quali devono contenere: l’oggetto e la finalità della concessione, il valore degli eventuali investimenti non ammortizzati, la durata, la misura del canone, il valore dell’indennizzo per il gestore uscente, la documentazione e i requisiti di partecipazione nonché i criteri di aggiudicazione. Si precisa poi che la durata della concessione non può essere inferiore a cinque anni e non superiore a venti e comunque per un «tempo necessario a garantire l’ammortamento e l’equa remunerazione degli investimenti previsti nel piano economico-finanziario».

Proseguendo, il comma 6 individua i criteri di aggiudicazione che devono essere valutati in sede di gara, quali il l’importo offerto a titolo di indennizzo per il gestore uscente (di cui si parlerà più approfonditamente con riferimento al comma 9), le condizioni del servizio offerto dal nuovo gestore, gli impianti da asservire alle concessioni e l’incremento dell’offerta turistica. Viene anche tenuta in considerazione sia la precedente esperienza nella gestione di altre concessioni sia «l’aver utilizzato una concessione quale prevalente fonte di reddito per sé e per il proprio nucleo familiare», disposizione questa che avrebbe il fine di tutelare i piccoli operatori del settore.

Il comma 9 dell’art. 4 prevede poi il diritto del gestore uscente al riconoscimento di un indennizzo a carico del subentrante corrispondente «al valore degli investimenti effettuati e non ancora ammortizzati al termine della concessione […]» e stabilita sulla base di criteri previsti da un decreto ministeriale.

Infine, il pagamento di almeno il venti per cento dell’indennizzo in favore dell’uscente è condizione necessaria ai fini della stipula del nuovo contratto di concessione, prevedendo la decadenza della concessione in caso contrario. Si tratta, invero, di una questione piuttosto spinosa in quanto si deve prestare attenzione all’ammontare dell’indennizzo che viene dato dal subentrante al precedente concessionario. Indennizzi eccessivamente elevati potrebbero determinare infatti un basso numero di adesioni alle nuove gare che verranno indette.

Vi è infine il tema dell’ammontare del canone concessorio che dovrà essere pagato. Nonostante si sia evidenziato la non trascurabile esiguità dei canoni concessori che vengono pagati dagli attuali beneficiari rispetto al fatturato complessivo che le concessioni balneari sono in grado di generare, i canoni concessori, differentemente dagli indennizzi, non saranno oggetto del confronto competitivo, ignorando perciò una problematica messa in evidenza da molti, tra i quali la stessa Corte dei conti, che aveva avviato un’indagine nel 2018 sull’esiguità dei canoni. I concorrenti non saranno chiamati quindi a offrire un maggior canone rispetto quello posto a gara. Ai sensi del c.11 del nuovo art. 4 della legge n. 118/2022, si prevede che i canoni vengano aggiornati con decreto ministeriale e, ove questo non venisse emanato, sono aumentati nella misura del 10%.

Secondo quanto accade di regola nelle procedure di gara disciplinate dal Codice dei contratti pubblici, il canone concessorio costituisce sempre un elemento di valutazione delle offerte, per cui sorgono molti dubbi sulla mancata considerazione di questo criterio. I bandi prevedono la presentazione sia di un’offerta tecnica sia di un’offerta economica ripartendo la percentuale dei punteggi tra l’una e l’altra. Si valorizza così il miglior rapporto tra qualità e prezzo.

A questo punto, occorre attendere il giudizio della Commissione europea che dovrà valutare se la nuova legge superi tutte le criticità, in modo da disporre finalmente la chiusura della procedura di infrazione contro l’Italia. La speranza è quella di vedere finalmente conclusa una vicenda che si protrae da quasi vent’anni.

 

Bibliografia

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Pavlycheva, U., & Petillo, G. (2024). Balneari – Per gli attuali Concessionari la partecipazione alle Gare è un imperativo, le nuove Linee Guida. Norme&Tributi+;

Police, A., & Chiariello, A. M. (n.d.). Le concessioni demaniali marittime: dalle sentenze dell’Adunanza plenaria al percorso di riforma. punti critici e spunti di riflessione. Luiss Law Review, 1/2022.

Pubblicato da:

Michele Stani

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