
13 Ott La sorte dei rapporti locativi ad uso diverso dall’abitazione alla luce del Decreto “Rilancio” (D.L. n. 34/2020): prime riflessioni e dubbi di costituzionalità.
Il periodo storico che abbiamo – e che, purtroppo, stiamo ancora – vivendo sarà ricordato per il flagello del Covid-19 e per lo stato di pandemia dichiarato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità che ha determinato il Governo Conte, attesa la straordinaria necessità e urgenza, ad adottare tutta una sequela di provvedimenti (Decreti Legge e Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri) al fine contenere la diffusione del virus e gestire l’emergenza epidemiologica.
A seguito di primi provvedimenti emergenziali istitutivi della cd. “zona rossa”, con D.P.C.M. 11 marzo 2020, “ritenuto necessario adottare, sull’intero territorio nazionale, ulteriori misure in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19; considerato, inoltre, che le dimensioni sovranazionali del fenomeno epidemico e l’interessamento di più ambiti sul territorio nazionale rendono necessarie misure volte a garantire uniformità nell’attuazione dei programmi di profilassi elaborati in sede internazionale ed europea”, veniva disposto su tutto il territorio nazionale il cd. “lockdown” con conseguente inibizione all’esercizio di quasi tutte le attività commerciali fatta eccezione per quelle di vendita di generi alimentari e di prima necessità, per le edicole, i tabaccai, le farmacie, le parafarmacie, i servizi bancari, finanziari, ed assicurativi nonché le attività del settore agricolo, zootecnico di trasformazione agro-alimentare comprese le filiere che ne forniscono beni e servizi.
Inevitabili sono stati i riflessi negativi sui rapporti locativi, attesa la difficoltà per molti conduttori a corrispondere regolarmente i canoni a fronte dell’inutilizzabilità dell’immobile per factum principis, unitamente a tutti gli altri costi fissi.
In molti hanno ipotizzato l’azionabilità di possibili rimedi quali quelli di cui agli artt. 1256, 1258, 1463, 1464, 1467 e 1468 c.c., tra le soluzioni maggiormente proposte, ma da più parti è stato invocato un intervento legislativo per riequilibrare il sinallagma contrattuale alterato.
Il Presidente del Consiglio dei Ministri ed il Ministro dell’Economia avevano più volte affermato, nel corso delle conferenze stampa che si sono succedute, che non era intenzione del Governo entrare nel merito dei rapporti giuridici tra privati ed, in particolar modo, in quelli tra locatori e conduttori auspicando il raggiungimento di accordi (a titolo esemplificativo e non esaustivo: riduzione del canone, sospensione del pagamento del canone, proroga dei termini di pagamento del canone), ma lasciando in ultima istanza ogni determinazione alla volontà delle parti.
A sostegno delle attività di impresa colpite dagli effetti di cui al citato D.P.C.M. 11 marzo 2020, con D.L. 17 marzo 2020, n. 18 (cd. “Decreto Cura Italia”) convertito con modificazioni dalla L. 24 aprile 2020, n. 27, all’art. 65 veniva previsto il riconoscimento di un credito di imposta nella misura del 60% del canone di locazione per la mensilità di marzo 2020 relativamente alle locazioni aventi ad oggetto immobili rientranti nella categoria catastale C/1 (negozi e botteghe).
Come chiarito dall’Agenzia delle Entrate con circolare n. 8/E del 3 aprile 2020, a poter beneficiare del detto credito di imposta nella misura del 60% delle spese sostenute per il mese di marzo 2020 a titolo di canoni di locazione – il credito di imposta matura a seguito dell’avvenuto pagamento del canone per la predetta mensilità – sono i conduttori di immobili rientranti nella categoria catastale C/1 (negozi e botteghe), con esclusione dal beneficio di tutti i conduttori di immobili rientranti nelle altre categorie catastali anche se aventi destinazione d’uso commerciale.
Da ultimo, con l’art. 28 D.L. 19 maggio 2020, n. 34 (cd. “Decreto Rilancio”), il beneficio del credito di imposta, per i mesi da marzo a maggio, è stato esteso ai soggetti esercenti attività d’impresa, arte o professione, con ricavi o compensi non superiori a 5 milioni di euro nel periodo di imposta precedente, ma anche in favore degli enti non commerciali, compresi gli enti del terzo settore e gli enti religiosi civilmente riconosciuti, nonché delle strutture alberghiere e agrituristiche indipendentemente dal volume di ricavi e compensi registrato nel precedente anno di imposta, nella misura del 60% dell’ammontare mensile del canone di locazione, di leasing o di concessione effettivamente corrisposto per gli immobili ad uso non abitativo destinati allo svolgimento dell’attività industriale, commerciale, artigianale, agricola, di interesse turistico, all’esercizio abituale e professionale dell’attività di lavoro autonomo o allo svolgimento dell’attività istituzionale.
Il credito di imposta, nella misura inferiore del 30% dei relativi canoni, è previsto anche per i contratti di servizi a prestazioni complesse o di affitto d’azienda comprensivi di almeno un immobile ad uso non abitativo destinato allo svolgimento dell’attività industriale, commerciale, artigianale, agricola, di interesse turistico o all’esercizio abituale e professionale dell’attività di lavoro autonomo.
Il credito di imposta è commisurato all’importo versato in riferimento a ciascuno dei mesi di marzo, aprile e maggio 2020 – per le strutture turistico-recettive con attività solo stagionale il riferimento è ai mesi di aprile, maggio e giugno – a condizione che i locatari abbiano subito una diminuzione di fatturato o dei corrispettivi nel mese di riferimento di almeno il 50% rispetto allo stesso mese del precedente periodo di imposta.
Come chiarito dall’Agenzia delle Entrate con circolare n. 14/E del 6 giugno 2020, in relazione agli immobili destinati all’esercizio abituale e professionale dell’attività di lavoro autonomo, rientrano nell’ambito di applicazione del credito anche quelli adibiti promiscuamente all’esercizio dell’arte o professione e all’uso personale o familiare del contribuente che sono ammortizzabili, nel rispetto delle condizioni previste all’art. 54 TUIR. Ne consegue che il credito di imposta è riconosciuto sul 50% del canone di locazione a condizione che il contribuente non disponga nel medesimo Comune di altro immobile adibito esclusivamente all’esercizio dell’arte o professione: in tale ipotesi, il credito di imposta non potrà essere riconosciuto con riferimento ai canoni relativi all’immobile ad uso promiscuo, ma solo con riferimento all’immobile adibito ad attività professionale in via esclusiva.
Le disposizioni sopra citate confermano, tutte, che in capo al conduttore permane l’obbligazione principale di corresponsione dei canoni mensili pattuiti, risultando assente nell’ordinamento vigente una disposizione che riconosca il diritto ovvero la possibilità di procedere unilaterale alla (auto)riduzione del canone contrattualmente previsto e pattuito in assenza di specifica convenzione stipulata con il locatore.
Si potrebbe arrivare al riconoscimento della possibilità per il conduttore di sospendere la corresponsione del canone, limitatamente al periodo di chiusura da marzo a maggio 2020, al termine del quale sarà, tuttavia, tenuto a corrispondere tutte le mensilità di canone non pagate.
Ciò in base al disposto di cui all’art. 91 del “Decreto Cura Italia” che ha introdotto al comma III dell’art. 3 D.L. n. 6/2020 convertito con modificazioni dalla L. 5 marzo 2020, n. 13, il comma VI bis che, testualmente, così dispone: “il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutata ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardi o omessi adempimenti”.
L’interpretazione letterale e teleologica, costituzionalmente orientate, della disposizione in parola non conduce, né tantomeno potrebbe condurre, ad altro approdo se non al riconoscimento della non rilevanza e, conseguentemente, della non gravità dell’inadempimento del conduttore per ritardato pagamento del canone di locazione, per le sole mensilità da marzo a maggio 2020, ai fini della convalida dello sfratto per morosità, ovvero alla non applicazione degli interessi al tasso legale e/o convenzionale in caso di emissione di un decreto ingiuntivo di condanna.
Se, come sopra ricordato, fin da subito il Governo ha dichiarato di non voler disciplinare a livello normativo i rapporti contrattuali tra parti private, un modus operandi diametralmente diverso sembra essere stato deliberato per quanto riguarda il settore sportivo.
In favore delle federazioni sportive nazionali, degli enti di promozione sportiva, delle società e associazioni sportive professionistiche e dilettantistiche, l’art. 95 D.L. n. 18/2020 ha previsto la sospensione fino al 31 maggio 2020 dei termini di pagamento dei canoni di locazione o di concessione relativi all’affidamento di impianti sportivi pubblici di proprietà dello Stato e degli enti territoriali, con possibilità di versamento dei canoni sospesi, senza applicazioni di sanzioni ed interessi, in un’unica soluzione entro il 30 giugno 2020 ovvero in n. 5 (cinque) rate mensili di pari importo a decorrere dal mese di giugno 2020.
Con l’art. 216, I co., D.L. n. 34/2020 la disciplina è stata oggetto di modificazioni, con proroga della sospensione dei termini di pagamento fino al 30 giugno 2020, con possibilità di procedere al versamento in un’unica soluzione entro il 31 luglio 2020, ovvero in n. 4 (quattro) rate mensili di pari importo a decorrere dal mese di luglio 2020.
Il comma II, inoltre, limitatamente ai rapporti di concessione, comunque denominati, aventi scadenza entro il 31 luglio 2023, ha normativamente previsto la possibilità, a richiesta del concessionario, di procedere alla rideterminazione delle “condizioni di equilibrio economico-finanziario originariamente pattuite, anche attraverso la proroga della durata del rapporto, in modo da favorire il graduale recupero dei proventi non incassati e l’ammortamento degli investimenti effettuati o programmati”, in difetto potendo le parti recedere dal contratto ma al concessionario spetterà il “rimborso del valore delle opere realizzate più gli oneri accessori, al netto degli ammortamenti, ovvero, nel caso in cui l’opera non abbia ancora superato la fase di collaudo, dei costi effettivamente sostenuti dal concessionario, nonché delle penali e degli altri costi sostenuti o da sostenere in conseguenza dello scioglimento del contratto”.
Fin qui, a trovare una disciplina speciale sono solo i rapporti di locazione o di concessione aventi ad oggetto impianti sportivi pubblici di proprietà dello Stato e degli enti territoriali, fattispecie apparentemente distinte dall’oggetto della presente disamina. Solo apparentemente!
Al III comma, l’art. 216 D.L. n. 34/2020 testualmente così prescrive: “La sospensione delle attività sportive, disposta con i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri attuativi dei citati decreti legge 23 febbraio 2020, n. 6, e 25 marzo 2020, n. 19, è sempre valutata, ai sensi degli articoli 1256, 1464, 1467 e 1468 del codice civile, e a decorrere dalla data di entrata in vigore degli stessi decreti attuativi, quale fattore di sopravvenuto squilibrio dell’assetto di interessi pattuito con il contratto di locazione di palestre, piscine e impianti sportivi di proprietà di soggetti privati. In ragione di tale squilibrio il conduttore ha diritto, limitatamente alle cinque mensilità da marzo 2020 a luglio 2020, ad una corrispondente riduzione del canone locatizio che, salva la prova di un diverso ammontare a cura della parte interessata, si presume pari al cinquanta per cento del canone contrattualmente stabilito”.
Appare davvero interessante quanto riportato nella relazione illustrativa – pertanto, l’esplicazione della ratio legis – a proposito della disposizione citata: “le misure di contenimento, come è noto, hanno inciso sui rapporti giuridici che sono stati costituiti ai fini dell’esercizio delle attività commerciali. Il contratto di locazione, nel periodo in cui al conduttore è inibito per un factum principis l’utilizzabilità dell’immobile locato secondo l’uso pattuito, non realizza lo scopo oggettivo per il quale fu stipulato. Si verifica quindi un’alterazione in concreto del sinallagma che, in un contratto commutativo, non può che determinare un intervento di riequilibrio da parte dell’ordinamento. Il problema citato – in questa sede affrontato sotto lo specifico aspetto della locazione di impianti sportivi – non è risolto dall’art. 65, comma 1, del decreto-legge n. 18 del 2020, in quanto tale disposizione: da un lato, ha previsto, per il 2020, un credito d’imposta (nella misura del sessanta per cento del canone relativo al mese di marzo 2020) a favore soltanto del conduttore di locali commerciali rientranti nella categoria catastale C/1, tra cui non rientrano gli impianti sportivi; inoltre, la norma lascia impregiudicata la questione se la legge civile attribuisca al conduttore il diritto ad una riduzione del canone (ed eventualmente ad un esonero dal relativo pagamento) relativamente al periodo di tempo in cui egli sia stato costretto, per factum principis, a tenere chiusa la sua attività commerciale. Neppure soccorre il comma 6-bis dell’art. 3 del d.l. n. 6 del 2020, convertito in l. n. 13 del 2020, introdotto dall’art. 91 del d.l. n. 18 del 2020: tale norma, al più, potrebbe essere interpretata nel senso di facoltizzare il conduttore a non pagare i canoni per il periodo della chiusura coatta, senza incorrere in decadenze o penali, salvo poi regolarizzare ad emergenza finita. È noto che, per quanto attiene al profilo delle tecniche di rilevanza delle sopravvenienze, l’ordinamento, in caso di variazioni qualitative, costantemente accoppia il rimedio della revisione a quello dello scioglimento del contratto (riguardano l’inattuabilità sopravvenuta del programma negoziale gli artt. 963, 1464, 1584, 1622, 1623, 1660, 1896, 1897, 1926 c.c.; riguardano l’inattuabilità originaria gli artt. 1484 e 1492), mentre per le variazioni quantitative il rimedio della revisione non è mai concesso ad un contraente al quale di già spetti il diritto di chiedere la risoluzione (cfr. gli artt. 1467 e 1468 c.c.). Nella disciplina contrattuale di parte speciale, l’art. 1664, comma 1, prevede invece che, qualora si siano verificati, per effetto di circostanze imprevedibili, aumenti o diminuzioni nel costo dei materiali o della mano d’opera tali da determinare un aumento o una diminuzione superiori al decimo del prezzo complessivo convenuto, l’appaltatore o, rispettivamente, il committente hanno diritto ad una revisione del prezzo medesimo per la differenza che eccede il decimo. In dottrina si è fatta strada, da diversi anni, sull’esempio dell’esperienza angloamericana degli relational contracts, l’idea secondo la quale, all’insorgere di sopravvenienze perturbative di un contratto, la parte esonerata dal rischio della sopravvenienza avrebbe il diritto di chiedere, anziché la risoluzione, la rinegoziazione dell’accordo anche in casi in cui l’esperibilità di tali rimedi non sia prevista espressamente né dalla legge né dal contratto. In particolare: 1) secondo alcuni, si tratterebbe di coniugare la normativa specifica dell’art. 1467 con la disposizione generale dell’art. 1175 al fine di accertare se il rifiuto del creditore di ricondurre il contratto ad equità, autorizzato in via di principio dall’art. 1467, risulti in concreto scorretto ex art. 1175 e possa, perciò, dirsi precluso; 2) secondo altri, sarebbero enucleabili classi di fattispecie rispetto alle quali, risultando insoddisfacente la previsione dell’art. 1467, andrebbe estesa la potenzialità normativa dell’art. 1664, comma 1, anche a contratti che, non riducibili puntualmente al tipo legale, sollevino esigenze simili a quelle previste per l’appaltatore. Nell’ipotesi in esame della locazione di impianti sportivi, resi inutilizzabili per factum principis, l’assegnazione di un rimedio conservativo, in luogo di quello risolutivo, appare giustificato alla luce delle seguenti considerazioni: a) il conduttore ha un forte interesse a mantenere in vita il contratto in ragione della «specificità ubicativa» dell’impianto sportivo e del rischio di non ricollocabilità altrove della sua attività; b) il locatore non ha alcun apprezzabile interesse a rifiutare la revisione, poiché da tale rimedio non subisce un pregiudizio che, in questa fase, potrebbe scongiurare ricorrendo al mercato. Alla luce della predetta dialettica degli interessi in gioco, la norma in commento introduce un rimedio azionabile dal locatore per ricondurre il rapporto all’equilibrio originariamente pattuito, consistente del diritto alla riduzione del canone locatizio mensile per tutto il periodo in cui, per il rispetto delle misure di contenimento, sono stati di fatto privati del godimento degli immobili locati. Per evitare comportamenti opportunistici a danno della parte più debole, oltre che per arginare un numero elevatissimo di contenziosi che potrebbero riversarsi sui tribunali, la disposizione determina, in via presuntiva, la percentuale di riduzione del canone in misura non inferiore al cinquanta per cento dell’importo pattuito, per tutto il periodo di efficacia delle suddette misure, salvo che il locatore fornisca una prova di pronta soluzione di un minore squilibrio tra le prestazioni. In base all’art. 1256, comma 2 c.c., se l’impossibilità di godimento dell’immobile locato è solo temporanea, come nel caso dell’inutilizzabilità dei locali in rispetto dell’obbligo di chiusura, il rapporto riprenderà nella sua fisiologica conformazione contrattuale non appena saranno rimosse le misure statali di contenimento e restrizione. Resta fermo, inoltre, che le parti, nell’esercizio della loro autonomia, ben possano rifiutare la selezione di interessi effettuata dal legislatore in via tipica. La norma si applica a decorrere dai decreti del Presidente del Consiglio dei ministri attuativi dei decreti legge 23 febbraio 2020, n. 6, e 25 marzo 2020, n. 19, e dunque disciplina effetti di fatti verificatisi (anche) nel passato. La limitata retroattività della disposizione (da marzo 2020 a luglio 2020, data in cui ha termine lo stato di emergenza dichiarato con la delibera del Consiglio dei Ministri del 31 gennaio 2020) appare rispondere ai parametri di riferimento dello scrutinio di non arbitrarietà e ragionevolezza elaborati dalla giurisprudenza costituzionale, e segnatamente: i) l’esistenza di una inderogabile esigenza normativa; ii) la proporzionalità tra il peso imposto ai destinatari della norma e il fine perseguito dal legislatore (sentenza n. 203 del 2016)”.
Ben lungi dal perseguire il fine dichiarato di “arginare un numero elevatissimo di contenziosi che potrebbero riversarsi sui tribunali”, a parere di chi scrive la disposizione si presta anzitutto a problematiche interpretative ai fini della sua corretta ed effettiva reale applicazione e, successivamente ma non certo per importanza della questione di diritto, ad essere oggetto di possibili sindacati di costituzionalità.
In primis, a quali rapporti di locazione trova applicazione il comma III dell’art. 216 D.L. n. 34/2020?
Tutt’altro che retorica, almeno prima facie, la domanda merita una approfondita disamina: applicando il criterio interpretativo letterale – strettamente letterale – ex art. 12 Disp. att. c.c., i contratti di locazione assoggettati al beneficio della riduzione del canone, nella misura presuntiva del 50% del totale pattuito, sono quelli aventi ad oggetto “palestre, piscine e impianti sportivi”, strutture attrezzate e funzionalmente destinate ad essere utilizzate come tali.
La questione si complica laddove l’oggetto della locazione non sia una palestra, una piscina o un impianto sportivo, bensì un immobile che, per volontà delle parti, venga destinato dal conduttore all’esercizio di una attività di palestra, piscina o impianto sportivo.
Sempre a parere di chi scrive, il riferimento esplicito al tipo contrattuale – “il contratto di locazione”, come previsto e disciplinato ex art. 1571 c.c. – escluderebbe la possibilità di interpretazioni restrittive ai soli casi di locazioni di strutture attrezzate e funzionalmente destinate ad essere utilizzate come palestre, piscine e impianti sportivi perché a rilevare e, pertanto, ad essere oggetto di tutela, appare l’uso e la relativa destinazione dell’immobile così come previsto e pattuito tra locatore e conduttore.
La risposta al primo quesito, tuttavia, apre ad una necessaria ulteriore riflessione. Secondo la definizione generica che ne dà l’art. 1571 c.c., “la locazione è il contratto col quale una parte si obbliga a far godere all’altra una cosa mobile o immobile per un dato tempo, verso un determinato corrispettivo”. Si tratta, pertanto, di un contratto bilaterale, consensuale, ad effetti obbligatori, a titolo oneroso, di durata, tipicamente commutativo. L’elemento tipizzante è dato dalla prestazione del locatore, che deve consistere nell’obbligazione di assicurare alla controparte il godimento di un bene – di un bene immobile ad uso diverso dall’abitazione, nel caso che ci occupa – per un certo tempo, mentre la prestazione principale del conduttore consiste nel pagamento del corrispettivo (il canone). Il successivo art. 1575 c.c., elencando le obbligazioni principali del locatore, stabilisce che questi, nel corso della locazione, deve garantire al conduttore il pacifico godimento della cosa locata contro ogni interferenza, con il solo limite di ciò che potrebbe occorrere alla res in conseguenza e per effetto del caso fortuito e della forza maggiore.
Il D.P.C.M. dell’11 marzo 2020 ha inibito l’esercizio di gran parte delle attività commerciali, ma non ha causato anche la conseguente impossibilità di utilizzare l’immobile locato: durante il “lockdown”, difatti, l’immobile è rimasto nel possesso e, quindi, nella materiale detenzione del conduttore, il quale ha continuato a fruire degli spazi locativi e ad occuparli con propri beni.
Entrambe le disposizioni citate, ovvero gli artt. 28 e 216, III co., D.L. n. 34/2020 si occupano delle sorti dei contratti di locazione ad uso diverso dall’abitazione di cui all’art. 27 L. n. 392/1978 ma con soluzioni ed effetti giuridici assai, se non diametralmente, distinti ed inconciliabili tra loro.
Tutte le considerazioni sopra formulate possono essere a contrario valutate per concludere che anche dal lato attivo dei rapporti locativi le disposizioni in parola creano disparità di trattamento essendo facoltà dei locatori degli immobili di cui all’art. 28 D.L. n. 34/2020 accordare una riduzione del canone contrattualmente previsto e pattuito in assenza di obblighi di legge ed, anzi, alla luce della disciplina vincolistica di cui alla L. n. 392/1978 laddove, mutatis mutandis, sussiste in capo ai locatori di palestre, piscine e impianti sportivi di cui all’art. 216, III co., D.L. n. 34/2020 uno specifico obbligo atteso che “la disposizione determina, in via presuntiva, la percentuale di riduzione del canone in misura non inferiore al cinquanta per cento dell’importo pattuito, per tutto il periodo di efficacia delle suddette misure, salvo che il locatore fornisca una prova di pronta soluzione di un minore squilibrio tra le prestazioni” (relazione illustrativa all’art. 216, III co.).
L’esercizio delle potestà legislativa si presenta come un potere assolutamente libero nei fini, che in apparenza non sembrerebbe tollerare alcun limite alla propria azione. Tuttavia, configurare l’esercizio della funzione legislativa in termini strettamente discrezionali, intendendola come semplice libertà di scelta tra più strumenti, tutti astrattamente compatibili con uno scopo ricavabile da fonti sovraordinate, mal si concilierebbe con la consolidata struttura del potere politico.
Il principio di uguaglianza formale ex art. 3, I co., Cost., nell’accezione dell’eguaglianza nella legge, comporta un vincolo, gravante essenzialmente sul Legislatore, sul contenuto della legge oltre che sulla sua efficacia, nel senso non solo di conferire la massima generalità e universalità possibile alla legge, ma di realizzare soprattutto la pari soggezione di tutti ad un’unica legge, senza operare discriminazioni di sorta, o meglio senza adottare trattamenti irragionevolmente differenziati. Il principio dell’eguaglianza formale, inteso come “fondamento della inammissibilità della contraddizione interna della legge che si risolve in ingiustificate, arbitrarie e irrazionali discriminazioni”, diviene principio di ragionevolezza, elaborato dalla giurisprudenza costituzionale, espressione del canone di coerenza dell’ordinamento (Corte Cost. 204/1982). Il giudizio sul rispetto del principio di eguaglianza, a carattere ternario o triadico, consente di verificare la sussistenza di una disparità di trattamento costituzionalmente illegittima atteso che situazioni sostanzialmente identiche – rectius, simili – vengono ad essere disciplinate in modo ingiustificatamente diverso (Corte Cost. 304/2004). Il giudizio di ragionevolezza, invece, è a carattere binario o duale ed è incentrato soltanto sulla rispondenza degli interessi tutelati dalla legge ai valori ricavabili dalla tavola costituzionale o al bilanciamento tra gli stessi, inferendo una contrarietà a costituzione solo quando non sia possibile ricondurre la disciplina ad una esigenza protetta in via primaria o vi sia evidente sproporzione tra i mezzi approntati e il fine asseritamente perseguito: è un controllo, quindi, che non entra nel merito delle scelte operate dal legislatore, limitandosi a verificarne la loro non arbitrarietà, la loro coerenza con una ratio della legge stessa ovvero sottesa al sistema (Corte Cost., 220/2005).
E’ vero che “le parti, nell’esercizio della loro autonomia, ben possano rifiutare la selezione di interessi effettuata dal legislatore in via tipica” (relazione illustrativa all’art. 216, III co.), ma è indubbio che le disposizioni di cui agli artt. 28 e 216, III co., D.L. n. 34/2020 siano idonee a creare una disparità di trattamento tra identiche situazioni giuridiche – rapporti locativi tra privati aventi ad oggetto immobili condotti in locazione ad uso diverso dall’abitazione, rientranti nella previsione vincolistica di cui all’art. 27 L. 392/1978, per l’esercizio di attività commerciali inibite per factum principis giusta D.P.C.M. dell’11 marzo 2020 – fondata sulla diversa destinazione d’uso dell’oggetto del rapporto locativo stesso, ovverosia l’immobile locato: nel primo caso, il conduttore potrà beneficiare del credito di imposta nella misura ex lege prevista a condizione che corrisponda in favore del locatore integralmente l’importo del canone previsto e contrattualmente pattuito, ovvero l’eventuale minore importo – tutt’altro che certo, essendo una facoltà e non obbligo del locatore – pattiziamente ridotto; nel secondo caso, invece, per le palestre, le piscine e gli impianti sportivi “il contratto di locazione, nel periodo in cui al conduttore è inibito per un factum principis l’utilizzabilità dell’immobile locato secondo l’uso pattuito, non realizza lo scopo oggettivo per il quale fu stipulato” così da risultare imposto al locatore la riduzione del canone di locazione salva la “prova di pronta soluzione di un minore squilibrio tra le prestazioni” (relazione illustrativa all’art. 216, III co.).
La diversa disciplina dettata per la medesima situazione giuridica non pare, pertanto, coerente e rispondente alla ratio legis di “arginare un numero elevatissimo di contenziosi che potrebbero riversarsi sui tribunali” (relazione illustrativa all’art. 216, III co.).
Le considerazioni svolte non sembrano superabili neanche provando ad argomentare in merito all’introduzione della cd. “moneta fiscale” di cui all’art. 122, II co. lett. b), D.L. n. 34/2020 in combinato disposto con l’art. 28, VI co., con possibilità per i conduttori di procedere, in luogo dell’utilizzo diretto, alla cessione del detto credito di imposta al locatore o al concedente ovvero ad altri soggetti, compresi istituti di credito e altri intermediari finanziari, con facoltà di successiva cessione del credito «a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto [19 maggio 2020] e fino al 31 dicembre 2021».
Come chiarito dall’Agenzia delle Entrate con la citata circolare n. 14/E del 6 giugno 2020, il cessionario può utilizzare esclusivamente il credito nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta nel corso del quale il credito è stato ceduto ovvero in compensazione e la quota di credito non utilizzata nell’anno non può essere utilizzata negli anni successivi e non può essere richiesta a rimborso. In tali casi, il credito non utilizzato può essere oggetto di ulteriore cessione solo nell’anno stesso.
Trattasi di una facoltà per il conduttore di procedere alla eventuale cessione del detto credito di imposta, come pure è una facoltà per il locatore accettare, in luogo del pagamento del canone di locazione, la cessione de qua.
E’ appena il caso di osservare in questa sede che le situazioni reddituali tanto del conduttore quanto del locatore devono essere tali da consentire l’utilizzo del credito di imposta, peraltro soggetto anche a scadenza!!!
Concludendo, non può che auspicarsi un intervento da parte del Legislatore, in sede di conversione del D.L. n. 34/2020, idoneo a superare questa disparità di trattamento che si è venuta a creare tra conduttori di immobili ad uso diverso dall’abitazione ex L. n. 392/1978, tutti colpiti dal provvedimento di inibizione all’esercizio dell’attività, e specularmente anche tra i locatori dei medesimi immobili, fondata solo ed esclusivamente, si deve ribadire, su una diversa destinazione d’uso dell’immobile locato, in difetto non potrà non essere adita la Corte Costituzionale in via incidentale per lo scrutinio di costituzionalità, atteso che ad avviso di chi scrive non sembrerebbe possibile operare da parte di un giudice a quo giungere ad una interpretazione costituzionalmente orientata.
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