LA RIFORMA DEL PROCESSO CIVILE

Avv. Gioacchino Di Palma

LA RIFORMA DEL PROCESSO CIVILE

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La Riforma del Processo Civile

La revisione della disciplina del processo di cognizione, dovrebbe garantire la semplicità, la concentrazione, l’effettività della tutela giurisdizionale, la ragionevole durata del processo.

Verrebbe da dire “ovvietà”.

In considerazione del fatto che la riforma viene presentata come quella che consentirà all’Italia una ripresa generalizzata di tutto il Paese, appare ben strano che criteri di semplicità, concentrazione, effettività, durata, etc. etc., si possano considerare principi di originalità e peculiarità tali da doverli evidenziare appunto come tali. Sembrerebbe appunto una “ovvietà”.

Un Paese civile dovrebbe avere un processo civile ispirato a principi di semplicità, concentrazione, effettività della giustizia, durata ragionevole del processo, quali basi e cardini di un sistema giustizia efficiente. La prima considerazione da fare e che mi viene quindi in mente è che il solo fatto che si parli della riforma del processo civile in questi termini, e non in termini di semplici aggiustamenti di una procedura che dovrebbe già soddisfare questi criteri, è il segno della sconfitta ed ammissione di una disfatta che il sistema fa di se stesso.

Si potrebbe osservare che già avere la capacità critica di prendere atto di ciò può qualificarsi come un risultato importante, ma noi Avvocati lo diciamo da decenni che il sistema processuale non garantisce semplicità, concentrazione, effettività della tutela, durata ragionevole.

Possibile che soltanto la Classe Forense si sia resa conto che negli ultimi decenni questi criteri, oggi presentati come chissà quali originale impostazione del nuovo processo, non avessero alcuna applicazione concreta? Che il processo civile sia lungo, non sia semplice, non sia concreto, a noi è chiarissimo da sempre.

A questo aggiungasi che quanto è stato approvato, presenta due caratteristiche fondamentali.

  1. Maggiori responsabilità per gli Avvocati, e solo per gli Avvocati.
  2. Ampliamento del criterio della conciliazione.

Sul primo punto

Le modifiche introdotte all’atto di citazione, che ricadono inevitabilmente sull’avvocato estensore dell’atto, prevedono che lo stesso soddisfi criteri di “chiarezza” e “specificità”, con (immagino) pronuncia di inammissibilità laddove criteri tanto fumosi trovino Giudici che li ritengano non soddisfatti. Circa la Comparsa di risposta non rilevo significative novità tali da incidere sulla ragionevole durata del processo. Tutto al più la riforma si risolve in una richiesta di maggiore specificazione di quanto già previsto e, sulla falsa riga di quanto appena scritto, rilevo che anche gli altri criteri relativi alla modificazione delle domande, o ai tempi e termini previsti per la decisione, incidono per nulla sul principale criterio che dovrebbe trovare soddisfazione nella riforma. Quello della “ragionevole” durata del processo, e diciamo subito che la Classe Forense, non ha alcuna responsabilità o possibilità di incidere su questo tempo (oggi evidentemente irragionevole), perché non può fare altro che attenersi ai tempi fissati dal Giudice.

Sul secondo punto

Si amplia per il Giudice la possibilità di spingere le parti verso una composizione della lite senza dover arrivare alla decisione finale.

Se ho quindi ben capito, aumentano da un lato le controversie che debbono essere precedute, a pena di inammissibilità, dal ricorso a procedure di composizione stragiudiziale della lite (mediazioni, negoziazioni, arbitrati etc.), dall’altro il Giudice, con la riforma, dovrebbe sollecitare al massimo le parti per trovare quella soluzione bonaria che le parti non sono state capaci di trovare da sole. Come farà? Paventando, o meglio spaventando le parti, su possibili condanne alle spese in considerazione di quello che gli appare, in quel momento, la possibile decisione che adotterà in futuro?

Sembrerebbe che questa riforma si risolva più nella sconfitta conclamata del sistema, piuttosto che nel suo miglioramento.

Non sarà, per caso, che anche questa riforma, come tutte le altre, si riduca ad un semplice proclama?. In questo caso idoneo ad evitare che l’Italia perda la possibilità di avere a disposizione le somme per l’attuazione del PNRR (per inciso non ho mai capito bene cosa significhi questo evanescente criterio della ragionevolezza della durata del processo. Non sarà il caso di pensare che non esiste un tempo ragionevole e uguale per ogni causa, perché sono diverse le sottostanti vicende umane che noi rappresentiamo nei nostri atti? Quello che dovrebbe venire in considerazione sono le tutele richieste nel caso concreto e non l’applicazione di un criterio temporale valido per tutte le cause).

L’idea che un magistrato non possa avere un carico di fascicoli che si misura nell’ordine delle centinaia e centinaia, quando non migliaia, e che per questo motivo non riesca a gestire in tempi certi tutti i fascicoli a lui assegnati, non viene proprio a nessuno? Prevedere semplicemente che i Giudici debbano essere molti di più, è veramente idea tanto originale?

Non credo proprio.

Temo invece che, come sempre, noi Avvocati dovremo stare ancora più attenti nello scrivere i nostri atti per non incorrere in pronunce di inammissibilità e improcedibilità, e continueremo ad aspettare anni ed anni le decisioni delle nostre cause, che, per il solo fatto di essere riusciti a portarle in fondo, diventano motivo di orgoglio personale, configurabile già come un successo, indipendentemente dall’accoglimento o rigetto delle domande formulate.

Non mi piace scriverlo, ma ritengo che purtroppo sia così, e che noi Avvocati, eravamo e continueremo ad essere vittime di questo sistema inefficiente ed incapace di dare risposte concrete e celeri all’esigenza di certezza di Giustizia. Inefficienze del sistema Giustizia che inevitabilmente ricadono su di noi e ci rendono responsabili, agli occhi dei nostri clienti e, per facile semplicistica valutazione da parte di tutti, di quelle lungaggini e rinvii che sviliscono ancora di più la nostra professione. Chi di Noi non continua a sentire quella vergognosa frase: “Causa che pende, causa che rende”? La verità è che una causa che pende non solo non rende, ma è motivo di superlavoro e di preoccupazione continua. Magari potessimo definirle in tempi brevi.

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