
29 Dic Il diritto d’abitazione del coniuge superstite
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Prima di esaminare l’ultima sentenza relativa al Diritto d’Abitazione per il coniuge superstite, si rende necessaria una breve analisi dell’istituto in questione.
Come è di comune conoscenza, il diritto d’abitazione è quel diritto concepito per il soddisfacimento delle esigenze abitative di chi ne è titolare e della di lui famiglia, così l’art. 1022 c.c.: “Chi ha il diritto di abitazione di una casa può abitarla limitatamente ai bisogni suoi e della sua famiglia” .
Nell’art 1023 c.c., novellato, viene specificato quale sia l’ambito della famiglia, tenendo presente l’estensione ed evoluzione del concetto stesso di famiglia, che rende più “difficile” individuare i soggetti facenti parte di tale ambito. Sono stati, infatti, considerati i figli adottivi, nonché i figli naturali riconosciuti (escludendo quelli non riconosciuti e non riconoscibili), e gli affiliati, anche se tali rapporti si istaurano dopo la costituzione dell’uso d’abitazione. In un senso più estensivo sono stati ricompresi anche coloro che coabitano e prestano servizi alla famiglia, badanti, domestici in generale.
Vale solo la pena ricordare che le canoniche categorie ricomprese all’interno del diritto d’abitazione sono senz’altro oltre al coniuge, i genitori del titolare che convivono con questi e con ogni probabilità anche i fratelli. In teoria, integra la possibilità del diritto di abitazione il solo far parte del nucleo familiare costituita, e non la necessità di essere conviventi a carico dell’avente diritto.
Il diritto d’abitazione ha altresì natura reale in quanto si può costituire anche mediante testamento, usucapione o contratto, richiedendo la forma di un atto pubblico o della scrittura privata ad substantiam ai sensi dell’art. 1350 n. 4 c.c. (cfr. Cass. n. 4562/1990).
Relativamente alla persona del coniuge superstite l’articolo 540 c.c. indica un’unica ipotesi di costituzione legale del diritto di abitazione precisando che a questi, anche quando concorra con altri chiamati, sono riservati i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano al fine di tutelarne le abitudini di vita ed evitargli l’ulteriore danno, psicologico e/o morale, che potrebbe derivare dal dover abbandonare l’alloggio abituale.
Sul punto erano intervenute le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione con sentenza n. 4847/2013.
Principalmente due sono state le questioni di una certa importanza prese in considerazione dagli Ermellini e riguardano:
- il riconoscimento o meno, all’intero della successione legittima, al coniuge superstite del diritto di abitazione nonché dell’uso del mobilio stante all’interno come previsto nell’ 540 c.c., con riguardo alla successione necessaria;
- poi, il cumulo o meno dei diritti sopramenzionati con la quota prevista dagli articoli 581 e 582 c.c.
Affrontando la prima questione, gli Ermellini hanno rilevato che i diritti in oggetto appartengono al coniuge superstite poiché il legislatore ha voluto realizzare nella ratio legis la parificazione degli stessi non solo sotto al profilo patrimoniale ma anche etico, “perseguendo una finalità che risulta valida sia per la successione legittima che per quella testamentaria”.
La Sentenza, infatti, evidenzia che la riserva dei diritti contenuta nell’art. 540 c.c. opera sia nella successione testamentaria che in quella legittima. Da ciò risulta, alla luce della predetta ratio legis, che il legislatore abbia voluto attribuire i diritti in questione in entrambe le successioni.
Per quanto concerne, poi, la seconda questione, cioè quella relativa al criterio applicabile per calcolare il valore della quota del coniuge, il Collegio ha aderito all’indirizzo che invoca tale attribuzione di diritti al coniuge nella successione legittima in aggiunta a quelli spettanti ex gli artt. 581 e 582 c.c..
Sempre secondo gli Ermellini nel calcolo della quota legittima va sottratto il valore del diritto d’abitazione dall’eredità dalla quota legittima essendo prelegati ex lege.
Si deduce quindi che il diritto d’abitazione è svincolato dal concetto di quota spettante per causa ereditaria e si somma ad essa.
Più recentemente, Suprema Corte con la sentenza n. 15000 del 28.05.2021 ha dovuto esaminare altre ipotesi che vedono come “attore” il diritto d’abitazione per il coniuge superstite e in questo frangente, pacificando la giurisprudenza sul punto, gli Ermellini si sono conformati, richiamandole, alle precedenti decisioni, e cioè la n. 15594/2004 e la n. 6691/2000.
Il Collegio ha specificato che l’immobile ove si pretenderebbe il diritto d’abitazione deve essere di proprietà del defunto o in comproprietà con questi al fine di far sorgere il diritto di abitazione in capo al coniuge superstite; in caso, invece, di immobile di proprietà dei terzi o in comproprietà tra i terzi e il de cuius tale diritto non può sorgere a meno che non si proceda alla stipula di un accordo mediante un atto notaio con forma ad substantiam.
La Corte di Cassazione ha ribadito tale concetto, affermando il seguente principio: “A norma dell’art. 540 cod. civ., il presupposto perché sorgano a favore del coniuge superstite i diritti di abitazione della casa adibita a residenza familiare e di uso dei mobili che la arredano è che la suddetta casa e il relativo arredamento siano di proprietà del “de cuius” o in comunione tra lui e il coniuge, con la conseguenza che deve negarsi la configurabilità dei suddetti diritti nell’ipotesi in cui la casa familiare sia in comunione tra il coniuge defunto ed un terzo”.
Vi è di più: “L’impossibilità di configurare, nella fattispecie quel diritto di abitazione e d’uso in favore del coniuge superstite, implica conseguentemente l’impossibilità di conseguire (come ipotizzato sotto altro profilo di censura del motivo in esame) la richiesta valorizzazione monetaria”.
Si esclude, dunque, l’applicazione dell’articolo 540 II comma c.c., e cioè quando l’immobile in successione, adibito a residenza familiare, sia in comproprietà tra il de cuius e terzi.