
03 Mar Diamanti da investimento: anche la Corte d’Appello di Roma accoglie l’orientamento favorevole ai risparmiatori.
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Sulla lunga questione processuale dei c.d. diamanti da investimento merita di essere riportata la più che condivisibile decisione della Corte d’Appello di Roma n.7904/2022 del 6 dicembre 2022.
Si rammenta che sul punto in diritto il sottoscritto Autore ha già svolto numerose pubblicazioni che hanno sempre trovato poi riscontro nelle decisioni dei Giudici di merito laddove hanno accolto i ricorsi dei risparmiatori contro le Banche e per questo da ultimo si segnala l’articolo riepilogativo dal titolo: “La responsabilità della Banca nella vendita dei c.d. diamanti da investimento”
Consultabile dal link: https://www.vagliomagazine.it/la-responsabilita-della-banca-nella-vendita-dei-c-d-diamanti-da-investimento/
Lo Studio legale Solferini – http://www.studiolegalesolferini.com – negli ultimi anni ha affrontato innumerevoli volte la questione dei diamanti da investimento rappresentando i risparmiatori e ottenendo significativi casi di successo.
E’ pertanto sicuramente confortante leggere i contenuti della citata Corte d’Appello di Roma che dopo quanto già osservato in proposito dalle Corti d’Appello di Venezia e Milano, promuove l’operato del Giudice di primo grado, nel caso in esame quello del Tribunale di Roma, che aveva accolto il ricorso del risparmiatore e condannato la Banca convenuta al risarcimento del danno.
Anzitutto, i Giudici della Capitale affermando che l’acquisto dei diamanti: “ha costituito una forma di investimento alternativa in quanto prevedeva l’impiego di capitale nella prospettiva di una conservazione, se non anche una remunerazione, dello stesso” e giustamente ha proseguito con una perfetta disamina del motivo per cui tale attività non può ricondursi nell’alveo del Tuf giacchè: “l’eventuale provento scaturente dalla rivendita del diamante rappresenta solamente una delle possibili modalità di godimento del bene da parte del proprietario. La circostanza che il valore del diamante oscilli a seconda delle quotazioni di mercato non è di per sè sufficiente per affermare che l’apprezzamento di questo rappresenti una forma di rendimento di natura finanziaria”, per poi chiudere in modo efficace il ragionamento: “in conclusione, perchè l’investimento in diamanti possa assurgere a investimento di natura finanziaria non basta che vi possa essere un accrescimento patrimoniale in favore del cliente a seguito della rivendita dei diamanti, bensì è necessario che l’atteso incremento di valore del capitale impiegato (ed il rischio ad esso correlato) sia l’elemento intrinseco all’operazione stessa”.
Relativamente alla questione dell’attività connessa la Corte d’Appello facendo di ottima sintesi anche piena virtù giustamente scrive: “La Banca d’Italia, con la comunicazione del 14.4.2017 avente ad og- getto la “Segnalazione presso gli sportelli bancari di attività di vendita di diamanti da parte di società terze”, nel ritenere – già prima della comunica- zione della stessa Autorità sopra riportata – che l’acquisto di diamanti non costituisce di per sé un’attività bancaria o finanziaria, ritenendo dunque che non trovino applicazione né le disposizioni né i controlli della Banca d’Italia previsti dal T.U.B., ha per la prima volta affermato che essa può essere svolta dalle banche esclusivamente quale “attività connessa o strumentale” quindi: “Come è stato chiarito, affinché siano “connesse”, le attività devono potersi integrare all’interno dell’attività bancaria, utilizzando i mezzi (già) approntati per l’esercizio di quest’ultima, potendosi così escludere che il relativo esercizio vada a comportare modifiche organizzative, ovvero l’assunzione in misura rilevante di rischi disomogenei rispetto a quelli tipici dell’impresa bancaria. In altri termini, al fine di qualificare come “connessa” ai sensi dell’art. 10, co. 3, T.U.B. un’attività svolta da una banca, occorre che tale attività, pure non bancaria, possa svolgersi utilizzando la dotazione organizzativa di mezzi e personale (sportelli, sistemi informatici, misure di sicurezza, lavoratori di- pendenti, ecc.) già disponibile alla banca e non richieda rilevanti modifica- zioni a tale dotazione”. Per effetto, dopo aver ricondotto la fattispecie esattamente a quello che è accaduto nella vendita dei diamanti in Banca, la Cda aggiunge: “La Corte ritiene condivisibile la ricostruzione operata dalla Banca d’Italia con la comunicazione suddetta secondo cui l’attività di vendita di diamanti presso gli sportelli bancari, da parte di terzi ma con l’intervento dell’intermediario bancario, sia da ricondurre nell’ambito delle attività connesse di cui alla disposizione sopra richiamate.”
Ma non solo, perchè saggiamente la Corte promuovendo le valutazioni già elaborate dal Tribunale di Roma, che aveva accolto il ricorso del risparmiatore, fa riferimento anche alla successiva comunicazione di Banca d’Italia e infatti verga per iscritto a buona memoria: “Il Tribunale di Roma non ha ritenuto che la Banca d’Italia, con la suddetta comunicazione, abbia sancito per le banche in relazione alla commercializzazione di diamanti presso le proprie filiali o agenzie degli obblighi non previsti da alcuna disposizione normativa e sanciti solo da una comunicazione della Banca d’Italia, ma piuttosto ha osservato come questi “sono stati riconosciuti anche dalla Banca d’Italia che, in data 14 marzo 2018, ha emesso un comunicato con il quale ha raccomandato che, a fronte di tale attività, «le banche, oltre a considerare le caratteristiche finanziarie dei clienti cui è rivolta la pro- posta di acquisto, devono assicurare adeguate verifiche sulla congruità dei prezzi e predisporre procedure volte a garantire la massima trasparenza in- formativa sulle caratteristiche delle operazioni segnalate, quali le commissioni applicate, l’effettivo valore commerciale e le possibilità di rivendita delle pietre preziose»”.
Per poi inquadrare e definire la responsabilità della Banca come inevitabile, affermando prima che: In particolare, per quanto riguarda l’acquisto di diamanti, le banche devono garantire adeguate verifiche sulla congruità dei prezzi in un’ottica di massima trasparenza informativa sulle caratteristiche delle operazioni segnalate, quali: le commissioni applicate; l’effettivo valore commerciale delle pietre preziose; la possibilità di rivendita. In altri termini, la Banca d’Italia ritiene che anche nell’esercizio delle attività connesse la banca abbia degli obblighi informativi, sebbene questi non siano quelli positivamente prescritti per i contratti bancari”. E poi, successivamente che: “È noto poi come la viola- zione degli obblighi informativi nella fase precontrattuale si traduca in una responsabilità contrattuale se il contratto si conclude” (cfr. Cass. 26.10.2017, n. 25512; Cass., 7.11.2014, n. 23033). Orientamento questo che viene richiamato dalla giurisprudenza di merito per affermare la responsabilità della banca in relazione a casi simili a quello all’esame di questo giudicante”.
E anche sull’entità del danno da risarcire la Corte d’Appello di Roma è chiarissima: “Il danno patito da XXX. in ragione dell’inadempimento da parte della banca agli obblighi informativi a cui era tenuta nei confronti dello stesso, quale cliente, nel prestare un servizio accessorio, quale quello in occasione dell’acquisto da parte dell’odierno appellato di due diamanti dalla Diamond Love Bond S.p.A. (oggi Ronin 19 S.r.l. in liquidazione), è stato correttamente quantificato nella differenza di prezzo tra quanto pagato per l’acquisto dei due diamanti e quello che il giudice ha ritenuto essere il valore di mercato delle pietre all’epoca dell’acquisto” e quindi, conseguentemente: “Il criterio differenziale di liquidazione del danno, utilizzato dal giudice di prime cure, si impone nel caso in esame. Siccome il valore dei diamanti è entrato nel patrimonio del ricorrente bisogna tenere presente che, “se l’atto dannoso porta, accanto al danno, un vantaggio, quest’ultimo deve essere calcolato in diminuzione dell’entità del risarcimento: infatti, il danno non deve essere fonte di lucro e la misura del risarcimento non deve superare quella dell’interesse leso o condurre a sua volta ad un arricchimento ingiustificato del danneggiato” (così Cass. S.U. 22.5.2018, n. 12564).”
In conclusione, e fermo restando che si allega alla presente una copia della decisione in commento non si può che essere completamente d’accordo con quanto hanno affermato dai Giudici della Capitale su di una questione che purtroppo ha visto il fiorire di alcune decisioni non del tutto in linea con l’orientamento dominante per una disamina del quale si rimanda al precedente articolo come in epigrafe indicato.
Fatto certo, che si ribadisce anche in questo caso e che ho più volte avuto modo di sottolineare è che il valore di questi diamanti è indicativamente da rifondere come risarcimento del danno tra il 70 e il 75% di quanto pagato dai risparmiatori mantenendo la proprietà delle pietre.
Bene hanno fatto tutti gli Istituti di credito che seriamente hanno deciso di riacquistare questi diamanti rifondendo il 100% ai propri Clienti, purtroppo una gran parte di questi sono stati mal consigliati nella prima fase delle c.d. trattative stragiudiziali e hanno accettato delle proposte transattive molto basse che andavano dal 20% fino al 50% per il timore del giudiziale ma di fatto le stesse poi sono state ulteriormente aumentate fino a circa il 60-62% a seconda degli Istituti di credito coinvolti e nel giudiziale oggi arrivano costantemente proprio tra il 70 e il 75%.
La chiarezza che sta facendo la giurisprudenza di merito prima e dell’appello poi è anche un importante punto di partenza ma se vogliamo nel contempo di arrivo sul fatto che il diritto bancario e più in generale quello dei risparmiatori deve basarsi prima di tutto sulla giurisprudenza. Ogni decisione quando dall’altra parte c’è un Istituto di credito dev’essere equilibrata a favore di chi Banca non è, tramite lo studio attento e disciplinato della scienza del diritto. Altrimenti prevalgono alcuni timori riverenziali, ben comprensibili, e sui quali, a volte, certuni Istituti di credito provano a fare leva con atteggiamenti dissuasivi.
Sentenza in commento: Corte Appello di Roma 7904 del 6 dicembre 2022
Avv. Marco Solferini