
28 Ott Commento dell’avv. Stefano Pellegrini alla Sentenza CTP Roma, sez.18^, n.13859/2019
L’interessante sentenza della Commissione tributaria provinciale di Roma, sezione 18^, n.13859 dep. il 23.10.2019 -comunicata dal Collega avv. Renato Pacotti, che ringraziamo- costituisce uno dei rari arresti giurisprudenziali (conforme CTR Lombardia Milano n.805 del 28.02.2017), che riguardano l’applicazione della disciplina -sicuramente innovativa e illuminata ma misconosciuta anche agli “addetti ai lavori”- contenuta nell’art.1, commi 537-543, della Legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Legge di stabilità 2013).
Specificamente, la norma prevede una forma di silenzio assenso rispetto all’istanza di autotutela del contribuente –definita <dichiarazione>- che, come giustamente dato atto dalla CTP in commento, comporta automaticamente l’annullamento ovvero la sospensione dell’atto impositivo qualora non venga formalmente riscontrata nel termine di 220 giorni dalla ricezione da parte dell’ente impositore destinatario della richiesta di riesame contenuto in tale <dichiarazione>.
Come risulta dal testo di Legge –che riportiamo in nota- la <dichiarazione di annullamento in autotutela> riguarda espressamente le somme dovute per imposte e tributi iscritte a Ruolo e già affidate per la riscossione coattiva ed è soggetta ai medesimi termini decadenziali di proposizione del ricorso giurisdizionale –cioè 60 giorni dalla notifica del “primo atto di riscossione” [1]
Le (estreme) conseguenze dell’inerzia dell’amministrazione finanziaria sono disciplinate dal comma 540 che recita: “ le partite di cui al comma 537 sono annullate di diritto e quest’ultimo è considerato automaticamente discaricato dei relativi ruoli. Contestualmente sono eliminati dalle scritture patrimoniali dell’ente creditore i corrispondenti importi”, anche se bisogna considerare che: “L’annullamento non opera in presenza di motivi diversi da quelli elencati al comma 538 ovvero nei casi di sospensione giudiziale o amministrativa o di sentenza non definitiva di annullamento del credito.”, come prosegue il comma 540 citato
Infatti, i casi tassativi in cui è consentita la dichiarazione sono elencati espressamente e consistono: a) nella prescrizione o decadenza del diritto di credito sotteso, intervenuta in data antecedente a quella in cui il ruolo è reso esecutivo; b) nel provvedimento di sgravio emesso dall’ente creditore; c) nella sospensione amministrativa comunque concessa dall’ente creditore; d) nella sospensione giudiziale, oppure nella sentenza che abbia annullato in tutto o in parte la pretesa dell’ente creditore, emesse in un giudizio al quale il concessionario per la riscossione non ha preso parte; e) nel pagamento effettuato, riconducibile al ruolo in oggetto, in data antecedente alla formazione del ruolo stesso, in favore dell’ente creditore.
La dichiarazione va presentata, anche in via telematica, al soggetto incaricato della riscossione, corredata dalla documentazione necessaria a supporto della richiesta di annullamento o sospensione, e può avere ad oggetto tutte o solo talune delle somme affidate in riscossione.
Quindi, il Legislatore della <stabilità> 2013 ha introdotto la possibilità, mediante la presentazione di una dichiarazione –comunque più impegnativa di una semplice istanza- di arrestare le riscossioni coattive di pretese che si reputano non dovute (perché erronee ab origine, ormai prescritte o già soddisfatte), oppure temporaneamente non esigibili in quanto interessate da un provvedimento amministrativo o giudiziale di sospensione.
E’ bene subito evidenziare che si tratta dell’applicazione dell’istituto dell’ <autotutela> tributaria forse più interessante ed incisiva mai sperimentata nel nostro Ordinamento.
Ma illustriamo brevemente i fatti di causa.
La “nuova” AdER (Agenzia delle Entrate Riscossione), notificava nel 2018 un’Intimazione di pagamento –cioè un sollecito al pagamento di imposte iscritte a ruolo utilizzabile anche per interrompere la prescrizione del credito erariale- comprendenti una molteplicità di cartelle di pagamento riguardanti imposte relative anche ad annualità molto risalenti a partire dal 2004 per finire al 2013.
La CTP prendeva atto che, rispetto a tali iscrizioni a ruolo, il contribuente aveva proposto la dichiarazione prevista dalla normativa in commento, chiedendo l’annullamento per prescrizione delle pretese portate dagli atti impositivi in precedenza notificati.
Quindi, nella contumacia di AdER, i Giudici tributari procedevano all’annullamento integrale sia dei ruoli che delle precedenti cartelle in base all’assorbente considerazione della mancata risposta alla <dichiarazione> nel termine di Legge dei 220 giorni.
Così, una volta verificato che la dichiarazione era stata regolarmente presentata e, soprattutto, che erano inutilmente decorsi i duecentoventi giorni prescritti per la risposta da parte dell’ente impositore, la CTP capitolina, ha tratto -senza indugio o dubbio interpretativo- le conseguenze prescritte dalla legge in ordine all’intervenuto annullamento di diritto delle partite con contestuale automatico discarico dei ruoli per l’agente della riscossione.
L’importante novità in materia di diritto all’autotutela nella riscossione tributaria portata dai commi 537-543 dell’art.1 della L. n. 228/2012 risiede nella circostanza che accanto a cause di discarico o sospensione della riscossione già previste dalle altre Leggi in materia di autotutela -nella prima ipotesi, l’avvenuto pagamento o il precedente sgravio del ruolo previsti dalle lett.b ed e del comma 537 dell’art.1, L. n.212/228, e, nella seconda, le sospensioni amministrativa e giudiziale di cui alle lett. c e d dell’art.ult. cit., nonché, ovviamente le ipotesi di annullamento totale o parziale della pretesa da parte del giudice (lett. d, ultimo periodo)- ma anche in caso di “prescrizione o decadenza del diritto di credito sotteso, intervenuta in data antecedente a quella in cui il ruolo è reso esecutivo.”, come recita la lettera a del comma 537.
E’ la prima volta nel nostro Ordinamento nella quale viene riconosciuta l’illegittimità sostanziale dell’esecuzione da riscossione che si fonda su di una pretesa impositiva prescritta o decaduta senza che sia necessario, per il contribuente, ottenere un provvedimento giudiziale che, esplicitamente, riconosca tale causa estintiva dell’obbligazione tributaria.
Infatti lo stesso Regolamento emanato in materia di <autotutela> con D.M. 11/02/1997, n.37, si limita a prevedere ipotesi di annullamento o rinuncia all’imposizione che riguardano casi per le quali l’obbligazione tributaria è viziata ab origine, cioè non avrebbe mai dovuto sorgere, in quanto, comunque, riconducibile a errore –anche nella fattispecie della doppia imposizione- commesso dall’ufficio impositore e/o dal contribuente (in buona fede). [2]
Osserviamo, ancora, che l’unico riferimento all’autotutela contenuto nella Legge quadro dei diritti del contribuente, L. n.212/2000, di cui all’art.7, secondo comma, lett. b, riserva all’istituto uno spazio ridotto seppure significativo, prevedendo che: “Gli atti dell’amministrazione finanziaria e dei concessionari della riscossione devono tassativamente indicare l’organo o l’autorità amministrativa presso i quali è possibile promuovere un riesame anche nel merito dell’atto in sede di autotutela.”, così da riconoscere il diritto all’autotutela quale immanente al nostro Ordinamento tributario, e specificando che tale diritto si deve estendere anche al merito della pretesa -e non limitarsi a considerare le ipotesi di <errore> o vizio genetico- ma non contempla le ipotesi di decadenza e prescrizione.
In altri termini, il Legislatore della Legge di stabilità del 2013 ha costretto l’Agenzia delle Entrate e il suo agente della riscossione (attualmente impersonato dall’articolazione AdER), a prendere in considerazione la prescrizione e decadenza delle loro azioni già in sede amministrativa e, quindi, ad accogliere l’autotutela che sia basata su tali eccezioni (sempre che, ovviamente, si presentino fondate).
Ancora più rivoluzionaria si presentava l’ipotesi prevista di cui alla lett. f del comma 538 dell’art. 1 della Legge n. 228/2012, che prevedeva che la dichiarazione potesse essere presentata anche per “qualsiasi altra causa di non esigibilità del credito sotteso”, disponendo, addirittura, una fattispecie “aperta”, non codificata, di annullamento (o sospensione), aprendo quindi prospettive molto interessanti per la tutela del contribuente.
Sennonche tale previsione è stata soppressa dall’art. 1, comma 1, lett. a), n. 2), del D. Lgs. 24/09/2015 n. 159, a cagione proprio della sua indeterminatezza che, si temeva, potesse dare vita a <dichiarazioni> eccessivamente “creative” nell’individuazione delle cause di annullamento.
Sotto il profilo processuale, la statuizione contenuta in Sentenza assume natura dichiarativa, considerato che l’annullamento opera di diritto e il Giudice si limita a rilevarlo disponendo l’annullamento delle partite a carico della contribuente e l’eliminazione dalle scritture contabili degli enti creditori dei corrispondenti importi.
Infatti, come accennavamo, l’inutile decorso del termine comporta il perfezionamento di una fattispecie di autotutela mediante silenzio assenso, integrato, appunto, dall’inerzia dell’ente impositore.
Sotto tale profilo, riteniamo corretta la statuizione di accoglimento del ricorso disposta dalla CTP in commento, con la conseguente condanna della parte pubblica alle spese di giudizio.
Riemerge, però, il problema dell’effettività del diritto all’autotutela in ordine al termine di ricorso di cui all’art.21 del D. Lgs. n.546/1992.
Infatti, anche la proposizione di questa <dichiarazione> di autotutela –per quanto incisiva possa essere- non comporta la sospensione dell’efficacia (provvisoria) dell’atto contestato né proroga i termini ordinari di ricorso, peraltro analoghi nella massima estensione a quelli previsti per la proposizione della dichiarazione di autotutela stessa (60 gg.).
In altri termini, considerato il termine di duecentoventi giorni a disposizione dell’Ufficio per fornire un riscontro esplicito, sarà imprescindibile e inevitabile proporre comunque Ricorso giurisdizionale onde non subordinare la propria sorte all’efficienza ed alla celerità dell’operato dell’amministrazione fiscale, anche considerato che l’ambito di applicazione della norma in commento si limita al “primo atto di riscossione notificato”.
Pertanto, si ripresenta l’inconveniente principale che ha reso il rimedio dell’<autotutela> in genere piuttosto evanescente, ovvero come tale percepito, ritenuto che, comunque, non esime dal ricorrere in sede giurisdizionale ove si è comunque tenuti a riproporre i medesimi motivi sottesi alla richiesta di riesame amministrativo.
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[1] Comma 537. A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, gli enti e le società incaricate per la riscossione dei tributi, di seguito denominati «concessionari per la riscossione», sono tenuti a sospendere immediatamente ogni ulteriore iniziativa finalizzata alla riscossione delle somme iscritte a ruolo o affidate, su presentazione di una dichiarazione da parte del debitore, limitatamente alle partite relative agli atti espressamente indicati dal debitore, effettuata ai sensi del comma 538.
Comma 538. Ai fini di quanto stabilito al comma 537, a pena di decadenza entro sessanta giorni dalla notifica, da parte del concessionario per la riscossione, del primo atto di riscossione utile o di un atto della procedura cautelare o esecutiva eventualmente intrapresa dal concessionario il contribuente presenta al concessionario per la riscossione una dichiarazione anche con modalità telematiche, con la quale venga documentato che gli atti emessi dall’ente creditore prima della formazione del ruolo, ovvero la successiva cartella di pagamento o l’avviso per i quali si procede, sono stati interessati: ]
- a) da prescrizione o decadenza del diritto di credito sotteso, intervenuta in data antecedente a quella in cui il ruolo è reso esecutivo;
- b) da un provvedimento di sgravio emesso dall’ente creditore;
- c) da una sospensione amministrativa comunque concessa dall’ente creditore;
- d) da una sospensione giudiziale, oppure da una sentenza che abbia annullato in tutto o in parte la pretesa dell’ente creditore, emesse in un giudizio al quale il concessionario per la riscossione non ha preso parte;
- e) da un pagamento effettuato, riconducibile al ruolo in oggetto, indata antecedente alla formazione del ruolo stesso, in favore dell’ente creditore;
[f) da qualsiasi altra causa di non esigibilità del credito sotteso .]
[2] Decreto ministeriale 11/02/1997 n. 37
Regolamento recante norme relative all’esercizio del potere di autotutela da parte degli organi dell’Amministrazione finanziaria.
- Ipotesi di annullamento d’ufficio o di rinuncia all’imposizione in caso di autoaccertamento.
- L’Amministrazione finanziaria può procedere, in tutto o in parte, all’annullamento o alla rinuncia all’imposizione in caso di autoaccertamento, senza necessità di istanza di parte, anche in pendenza di giudizio o in caso di non impugnabilità, nei casi in cui sussista illegittimità dell’atto o dell’imposizione, quali tra l’altro:
- a) errore di persona;
- b) evidente errore logico o di calcolo;
- c) errore sul presupposto dell’imposta;
- d) doppia imposizione;
- e) mancata considerazione di pagamenti di imposta, regolarmente eseguiti;
- f) mancanza di documentazione successivamente sanata, non oltre i termini di decadenza;
- g) sussistenza dei requisiti per fruire di deduzioni, detrazioni o regimi agevolativi, precedentemente negati;
- h) errore materiale del contribuente, facilmente riconoscibile dall’Amministrazione.