Il fenomeno dell’Intelligenza Artificiale (di seguito Ai) per lo sviluppo delle attività nell’area legale è uno dei più discussi.
Da circa due anni sono davvero tante le opinioni che si sono alternate e che, a ragione o torto, nella stragrande maggioranza dei casi avevano il minimo comune denominatore dell’essere più che altro convinzioni personali. Pur se condivise spesso con elegante razionalità. Di fatto però, in non poche occasioni, erano riflessioni destituite di una reale o se volessimo usare un termine più impegnativo, scientifica, conoscenza delle Ai.
Ad oggi però assistiamo a un fenomeno che potrebbe aiutarci a meglio comprendere quello che sta accadendo, se non altro da un punto di vista più pratico che teorico. Guardando alle società. In particolar modo a quelle che hanno o che potrebbero avere il giurista d’impresa. Una qualifica che mantiene una sua bellezza, importanza e rinomanza.
Con la doverosa premessa che le attuali Ai in commercio sono un buon prodotto ma molto distante dalle reali potenzialità di questa tecnologia. Essendo che rappresentano, come intuibile, un mercato. Dal punto di vista commerciale. Cioè un prodotto che viene venduto. Queste Ai agiscono in larga parte come degli ottimi motori di ricerca in grado di filtrare e riorganizzare dal punto di vista logico le principali notizie che attingono dal database su cui probabilmente sono state addestrate, come pure da internet.
Spiegare in maniera più approfondita questi aspetti proietta l’argomento verso dei tecnicismi che ai fini del presente articolo non sarebbero utili come tale è doveroso precisare che si cerca di fare di sintesi virtù.
Sul punto sembra opportuno sottolineare che il sottoscritto negli ultimi tre anni ha seguito tre corsi sulle Ai, in particolare sull’argomento safety fundamentals e governance non per il settore legale ma dal punto di vista più tecnologico operativo e penso di avere a malapena scalfito la punta dell’iceberg pur avendo dovuto (o meglio cercato) di fare pratica con concetti e terminologie più appartenenti alla scienza delle nuove tecnologie.
Il risultato delle ricerche legali da parte delle Ai in commercio è un aggregazione di informazioni che tuttavia non è quasi mai proposta secondo i crismi della filologia essendo più organizzata secondo un algoritmo di sistemazione dei dati che completa l’operazione espositiva e ri-propositiva degli argomenti. Agendo in parte come un masticatore che filtra le informazioni e in parte come aggregatore di notizie.
L’interazione con l’utilizzatore è alta. Nel senso che l’utente interagisce con profitto e in termini brevi. Tuttavia anche l’attenzione richiesta nella supervisione di quanto l’Ai produce è fondamentale.
Si richiama l’attenzione sull’ormai noto caso dell’Ai che avrebbe prodotto ex novo sentenze della Cassazione inesistenti e per il quale si rimanda all’articolo: “L’intelligenza artificiale s’inventa le sentenze. I Giudici se ne accorgono. Un altro segnale di allarme sull’uso di questa tecnologia?” https://www.vagliomagazine.it/lintelligenza-artificiale-sinventa-le-sentenze-i-giudici-se-ne-accorgono-un-altro-segnale-dallarme-sulluso-di-questa-tecnologia/
Orbene, è corretto affermare che attualmente una buona percentuale delle Ai in circolazione è in grado di interagire bene con la contrattualistica. In America poi alcuni modelli sono più avanzati e lavorano meglio rispetto a quelli sul mercato Italiano.
Fermo restando che quasi tutte le offerte presuppongono, a margine, degli aggiornamenti nelle funzioni delle Ai che diventano, se vogliamo usare un termine umanistico, più brave. Pertanto si potrebbe addirittura affermare che ogni 3 mesi circa il prodotto è migliore in termini di efficacia. Il che rende difficile fare una fotografia che permetta di affermare quale delle numerose offerte in circolazione per Avvocati e società sia la migliore. Verosimilmente sono quasi tutte sullo stesso livello.
In questo panorama che cosa succede nelle società che utilizzano le Ai?
Accade che la contrattualistica che sia quella più tipica dei contratti di agenzia, distribuzione, vendita oppure il vasto arcipelago delle operazioni societarie come pure gli accordi siano essi per fusioni e acquisizioni, azioni, joint venture, fondi d’investimento, venture cap, ecc. insomma quella che viene definita l’attività degli studi legali d’affari, l’Ai è in grado di svolgerla. A prescindere dal come, la certezza è che lo farà sempre meglio. Già oggi senza dubbio raggiungendo un risultato performante.
Quindi le società hanno sviluppato la tendenza ad affidarsi a questa risorsa interna piuttosto che esternalizzare verso gli Studi che rappresentano una voce importante nei costi e nelle spese. Tanto è vero che in America più di un commentatore ha parlato di tramonto di questi Studi. Specializzati cioè nella contrattualistica. Del resto se è vero che l’attività degli Avvocati è una di quelle più a rischio sostituzione da parte delle Ai (pare che siamo tra le prime 10 professioni a rischio) quella degli Avvocati d’affari o d’impresa sarebbero, all’interno della categoria, le primissime.
Il rischio è concreto? Si, non ammetterlo sarebbe inopportuno. Io stesso ho provato alcuni modelli avanzati di Ai e devo ammettere che il risultato è eccellente. Mettono anche l’Avvocato che non ha dimestichezza con l’inglese o che non ha lavorato negli Studi d’affari (o fatto un LLM all’estero) nelle condizioni di produrre un contratto. Peraltro hanno sistemi di verifica e di autovalutazione dove consentono l’aggiunta di una serie di revisioni, di clausole o analisi della terminologia. Tutto ciò non a caso, laddove per coloro che fanno questo genere di attività è nota l’attività di discussione tra le parti sul valore interpretativo da attribuire ai fini di un contratto, per esempio, ad una singola parola in special modo quando è in inglese (come quasi tutta la famiglia degli agreement).
E quindi? Mandiamo curriculum o ci dedichiamo ad altro nel bellissimo mondo del diritto (finché potremo ovviamente)?
In verità no. La trama infatti si complica. Diciamo che da thriller passa a mystery, per gli amanti dei romanzi.
I commentatori e magari anche coloro che preconizzavano apocalittiche quanto imminenti rivoluzioni a base di manodopera forense che deve cambiare lavoro si trovano di fronte, come spesso accade nella storia, a una reazione diversa, diciamo secondo una razionalità distinta da parte di moltissime società.
Forse non sarà sfuggito che c’è un aumento nelle offerte lavorative degli uffici legali interni a molte imprese. Mentre alcune introducono questa tipologia d’ufficio, altre invece lo adeguano. Usiamo sempre termini che sembrano più nobili per il loro significato di quanto a volte poi sia la prassi di quello che accade.
Non solo, ma capita davvero di frequente di prendere atto che le stesse selezioni, per il medesimo posto o qualifica, ritornano dopo periodi tutto sommato brevi.
Si può ipotizzare che non poche società fatichino a trovare la professionalità necessaria. Del resto introdurre l’avvocato nell’impresa non è un operazione semplice. Non riguarda solo le sue capacità o la passione che profonde nello svolgimento del proprio lavoro ma anche aspetti caratteriali di una professione che dev’essere svolta da personalità idonee alla vita consociativa dell’impresa. O quantomeno trovare una collocazione nell’organigramma che vada oltre la targhetta sulla porta dell’ufficio.
Il problema però pare essere un altro.
Le società si sono rese conto che non possono delegare, per il momento, alle Ai tutto quello che necessitano in termini di contratti prendendo poi per buono, a scatola chiusa, il lavoro prodotto dall’Ai. Hanno bisogno di una supervisione. Ed ecco quindi che da un pò di tempo queste ricerche di giuristi d’impresa sono più verosimilmente ricerche di Avvocati da utilizzare (tristemente) come impiegati forensi delegandoli alla supervisione dell’operato delle Ai.
In buona sostanza l’identikit di questa curiosa “offerta di lavoro” sarebbe quello di colui o colei che anzitutto abbia esperta conoscenza del diritto (perlomeno societario, commerciale, contrattualistica oltre ovviamente al civile), per formazione e studi, allo scopo di interagire con la Ai per rendersi cioè conto di quello che andrebbe adeguato, cambiato e magari anche eliminato (sia mai che si sbagli).
Che questa curiosa figura professionale possa costare meno dell’esternalizzazione agli Studi legali è discutibile. Ma è anche utile?
L’impresa ha bisogno di un Avvocato formato (quindi con esperienza), in grado di interagire bene con la Ai e che pertanto abbia quella dimestichezza informatica che usualmente si può trovare in percorsi di studi più vicini all’ingegnere o al tecnico informatico (programmatore) oppure nell’appassionato cioè colui il quale ha una competenza frutto di un interesse. E naturalmente ci vuole una persona che abbia una dimestichezza con l’inglese, sicuramente scritto ma all’occorrenza anche parlato. Insomma quella clausola “fluent in english” che per anni ha rappresentato il discrimine per poter lavorare in alcuni Studi d’affari dove era più fondamentale saper rispondere al telefono in inglese. Almeno finché i traduttori non faranno il salto di qualità e le Ai non parleranno (cosa che in realtà sono già in grado di fare), ovviamente in tante lingue.
Questa figura professionale dovrà poi essere, come visto, abile e arruolabile nelle dinamiche interne dell’impresa.
A me pare una bella sfida per gli headhunter e mi piacerebbe capire anche come le associazioni di imprese intendono orientarsi su questo aspetto datosi che stanno sorgendo società terze che offrono questi servizi proprio perché é difficile trovare una professionalità tale da includere all’interno dell’impresa. Siamo al paradosso, cioè società di non Avvocati che offrono servizi che una volta venivano offerti dagli Avvocati e che adesso invece vengono sviluppate dalle Ai il cui risultato viene poi supervisionato all’esterno.
La situazione diventa poi grottesca nel vasto arcipelago delle start-up.
Le start-up, che in Italia sono sempre innovative per via della norma cui originariamente è stato agganciato questo format di fare impresa in fase early bird (mi si passi un termine tipico del crowdfunding) puntano praticamente in modalità all-in sulle Ai.
Datosi che oggi lo startupper è un po’ come anni addietro era il programmatore di app per cellulare che lavorava a un progetto, sperando di creare la nuova app o gioco di successo, nell’ambiente si tende ad importare lo stile made in USA con la grande e fondamentale differenza che noi non siamo la Silcon Valley.
Gli hub o gli incubatori Italiani raccontano spesso le storie di successo ma poco si parla di quelle all’opposto che non sono mai decollate o che sono naufragate (anche in modo drammatico pur essendo di buone speranze).
Di fatto a livello di contrattualistica nelle start-upi si finisce per copiare tutto ciò che è riferibile a nazioni di common law come sono appunto Inghilterra e Usa. E’ un importazione taglia e incolla. Con il risultato che abbiamo un gran numero di soggetti che svolgono un enorme numero di funzioni attorno al mare pescoso delle start-up, dalla formazione alla ricerca, dagli investimenti alle risorse umane che finiscono per occuparsi a macchia di leopardo, in tutto o in parte di contratti. Step by step. Di strategie, ecc. Parlano di metodi e percorsi come se fosse una scienza esattamente come si parla di una materia dopo averla studiata su schemi e schede. Con approssimazione. Il tutto sotto l’egida di una terminologia prevalentemente in inglese, perché trasmette la sensazione, a mo’ di convincimento, di una più tenace professionalità. Facendosi ovviamente tra loro concorrenza. Ciascuno affermando di essere più bravo perché sa fare meglio i vari (problematici) passaggi.
Tutto questo si riversa su di una contrattualistica dove una legione di personaggi che non hanno la benché minima competenza in diritto e meno ancora nella contrattualistica finiscono per chiedere, inevitabilmente, alle Ai. Cosa devo fare, come, quando e perché. E’ un po’ come quando l’avvento dei motori di ricerca come Google trasformò l’uomo medio in un tuttologo che pensava di saperne di più dell’Avvocato perché aveva fatto una ricerca su internet e si era letto qualche articolo nei primi due o tre link.
Siccome sono start-up e per definizione cercano fondi non possono mettersi l’Avvocato in ufficio e nemmeno possono pagarsi l’esternalizzazione alle società terze, quindi se ne vanno in giro con questi contratti made in Ai e chi opera nel settore legale corre il rischio di vederne, come si diceva una volta, di cotte e di crude.
Vediamo alcune delle più tipiche richieste che post risultato dell’Ai arrivano all’Avvocato:
1) “Il contratto così andrebbe bene o bisogna aggiungerci qualcosa?”
2) “Voglio solo sapere una cosa. Se io metto questa clausola va bene scritta così?”
3) “In che fase dobbiamo firmare questo contratto con il finanziatore e siamo sicuri che sia veramente vincolante se scritto in questo modo?”
Naturalmente così non può funzionare. Non sanno nemmeno cosa sia la preanalisi legale finalizzata ai rischi di contenzioso. O quella per gestire le eventuali mediazioni. Contestazioni e conflittualità che possono sorgere tra plurimi soggetti. Il grandissimo Prof. Campobasso inorridirebbe nel vedere la scienza del diritto commerciale ridotta a una schizofrenia on demand da parte di incapaci che non conosco il diritto, non l’hanno mai studiato e non ci lavorano ma fingono di essere esperi con panegirici giochi di parole.
Una confusione generata dalla disponibilità di uno strumento, le Ai, che viene utilizzato male e in maniera approssimativa.
Allo stato attuale dell’arte, visto e considerato i vari pro ma anche se non soprattutto i vari contro, a fronte di questa terra di nessuno di contrattualistica a firma Ai, che qualcuno definirebbe un gran casino, non è meglio esternalizzare a chi é veramente esperto del diritto? Tornare dai cari vecchi Studi legali che da decine di anni fanno il diritto, amano il diritto e lavorano per fare bene il proprio mestiere nell’interesse del Cliente.
Vale la pensa per le imprese andare a impazzire dietro una figura professionale dell’Avvocato supervisore delle Ai da mettere a stipendio o per le start-up affidarsi al sacro verbo della bit economy sperando che non ci scappi mai un contenzioso altrimenti scoprirebbero un modo realista (e potenzialmente cattivo) dove il diritto diventa una cosa seria e non un gioco simile a un puzzle taglia e incolla.
Lo Studio legale non è solo costi e spese ma un partner affidabile. Penseranno loro, gli Avvocati dello Studio, a scegliere una Ai, se la vorranno e ci lavoreranno nel modo più opportuno, in Studio, supervisionando e adeguando il lavoro. In base al metodo. Senza crearlo. Ma scegliendolo. Cogliendo cioè un opportunità che non trasforma in modo impositivo il lavoro bensì armonizza la professione. Offrendo soluzioni utili all’esperto del diritto. Anziché prepensionarlo o ridurlo ad un impiegato che lavora alle dipendenze dell’Ai.
I cambiamenti indisciplinati sono come il sonno della ragione. Sappiamo tutti cosa genera.
Avv. Marco Solferini ( http://www.studiolegalesolferini.com )